Ho ascoltato un giorno Erri De Luca parlare degli anni della contestazione: sono anni che appartengono anche a me e nei quali ho ambientato il romanzo Cupo tempo gentile. Lo scrittore napoletano parlava delle molotov e degli scontri con un entusiasmo e una foga che mi ricordava l’esaltazione della violenza di Gabriele D’Annunzio nei giorni della marcia su Fiume. In Erri De Luca è presente un dannunzianesimo di sinistra, un’idea di violenza come liberatrice e rigeneratrice: certo, qui non si tratta della marcia degli arditi, ma del diritto degli “sfruttati” di operare anche con la violenza contro le ingiustizie della società. Non è importante che il governo ed il parlamento di uno stato democratico abbia liberamente deciso di costruire la ferrovia Torino-Lione: il discorso di Erri De Luca va oltre, molto oltre, il legittimo diritto di contestare anche ruvidamente una scelta. Si può pensare quello che si vuole della Tav, ma non si possono giustificare in alcun modo atti di violenza e sabotaggi.
Seguendo questa logica ogni paese e gruppo avrebbe il diritto di fare una rivolta violenta contro le decisioni prese da chi, bene o male, spesso più male che bene, rappresenta il popolo italiano. Si tratta di una posizione tra la giacobina e la leninista che dà il diritto ad ogni minoranza di giusti e “illuminati” di ricorrere sempre e comunque alla violenza.
L’affermazione però più assurda è quella di vedere negli anni di piombo una guerra civile. Per essere una guerra civile bisogna che ci sia una qualche base popolare, bisogna avere di fronte uno Stato che non permetta libertà di voto, di espressione e di propaganda. Se due o tremila persone, appoggiate magari silenziosamente da un centinaio di migliaia di persone (e mi tengo largo), decide di prendere le armi contro lo Stato, sta dando inizio ad una svolta terroristica della contestazione che non può essere in alcun modo giustificata. Si ricorda De Luca l’assassinio del sindacalista Guido Rossa? E l’orribile video con cui si mostrava l’esecuzione spietata e mafiosa con un colpo alla tempia del fratello di Peci mentre sullo sfondo risuonavano le note dell’Internazionale? Le parole dello scrittore napoletano suonano irrimediabilmente come giustificazione della violenza e come offesa ai famigliari delle vittime. Bene ha fatto Caselli ad uscire da Magistratura Democratica dal momento che queste parole erano state scritte in una pubblicazione a questa corrente piuttosto vicina.
Voglio ricordare Sofri, il quale ha sempre rivendicato la sua innocenza nel delitto Calabresi, ma ha anche condannato le parole sue e quelle di altri che di tale delitto hanno preparato il clima e lo hanno favorito. Non so se Sofri sia innocente o meno, so che questo suo riconoscimento di una qualche colpevolezza morale è assolutamente giusto. “Le parole sono pietre” ha scritto qualcuno e prima di pronunciarle Erri De Luca dovrebbe un po’ rifletterci sopra.
Umberto Piersanti