L’ombra della stella. Il Natale dei poeti d’oggi

Giovanni Tesio, “L’ombra della stella. Il Natale dei poeti d’oggi”
Recensione di Rossella Frollà

Cosa è per me il Natale?
E’ questo girasole.
E’ questo che mi ripeto.
E’ questo che il cuore vuole?

(Giuseppe Conte)

Così diversa tra gli altri doni e tra le altre antologie questa di Giovanni Tesio (Interlinea 2012) si impone come «serto natalizio» ben costruito per l’occasione dai maggiori poeti italiani viventi. Molte voci della letteratura hanno visitato il paesaggio natalizio, ricordiamo per tutti Il Natale, antologia di poeti del Novecento apparsa nel 1961 come strenna del pesce d’Oro 1962 a cura di Mary de Rachewiltz e Vanni Scheiwiller. Scrivere il Natale è come far coincidere il bene che c’è in noi con l’altro da noi. La parola si fa pervasiva della bontà che risveglia il desiderio latente di dare senza nulla trattenere per sé superando quel timore primigenio di non ricevere. Un’atmosfera onesta sembra voglia guidare il libro e il mondo e l’annuncio sembra non sia folle ma verità. Annuale ricorrenza della speranza, desiderio di luce dica, dunque, della malinconia come di ciò che manca per grazia:

… abbiamo esaurito la lista,
non ho che Dio
da farti salutare
ma se lo incontri per caso, non darti
pena di cercarlo al posto mio

(Alberto Bevilacqua)

La memoria di questa veglia richiama la nostalgia della luce che tende ad affidarsi durante l’anno alla ragione con atteggiamento squisitamente occidentale. E sempre non tarda ad arrivare una doppia realtà che scorre dentro e sotto la nostra cultura come un fiume lavico: la legittima ricerca di un Dio nascosto nelle molteplici spire dell’opulenza e il profondo senso di colpa che permea il desiderio di riscattarsi come se il fatto che Dio esista in quei giorni più che in altri sia bello e consolante oltre ogni bimbo che« bela»:

lo chiamano: dove vai pòra stèla,
stellina?
hanno voce e rovina
Nemmeno più luccica, non chiede ma
solo
bela

(Davide Rondoni)

Nella preghiera della neve e dell’attesa si racconta l’antica favola che trascende l’uomo nella sua più immediata e consapevole presenza e si percepisce la parola come esperienza fisica dello spirito, di quel qualcosa che ci rende infinitamente, sia pure misteriosamente, simili a Dio:

Sfrigola la carta crespa,
incanta come sempre il pastore inginocchiato,
la pecora che resta
indietro, inciampa, increspa
la finzione del prato;
le case di cartone, l’acqua
che non scorre – è un velo
di stagnola,
e il muschio …
ah, il muschio! unica nostra astuzia
quest’aggiunta patetica del vero,
quest’attenzione un po’ pignola
alla minuzia … –

(Paola Mastracola)

Considerare un momento dell’anno aperto all’infinito è dall’altra parte la consapevolezza dell’apertura all’infinito dell’uomo e l’idea che sia infinito egli stesso. Allora tacciono per qualche istante «PIN e PUK», le «dolcissime metastasi» del quotidiano:

ma sento che qualcosa è andato perso
e insieme che il dolore mi è rimasto
mentre mi prende acuta nostalgia
per una forma di vita estinta: la mia.

(Valerio Magrelli)

E’ un Dio personale quello del Natale, in altre parole, è un Dio non privo dell’espressione fisica dell’anima e per un tempo breve si rende io e tu secondo una considerazione meno occidentale. La mente si sveglia sulla «meraviglia per il lago /di carta argentata,[…]» .
E al di là dell’esperienza del mondo tutto si ferma perché si possa esprimere il noi intenzionato a suo modo, per quanto possibile, a vibrare nel circuito di carta crespa col Gesù che fa da collante al muschio e al mondo:

Mille anni dopo è argento
la piazza di Bagnacavallo,
e questa notte lustra,
accampata sul selciato di neve
e il tendone del minuscolo circo,
il breve sciame di artisti ragazzini
che sopravvivono alla strada,
alla carneficina afghana.

(Cristina Alziati)

Tutti i percorsi razionali urtano con l’aria del mistero e la durezza dei dati materici perde di consistenza fino all’istante in cui si perde l’orizzonte del nostro interrogarci e desiderare e ci si abbandona e torna alla memoria «l’antica favola»:

Ricorda quella notte di Kislew/dicembre,
apparecchiata in cielo più che in terra,
il fiato delle bestie accovacciate.
Vuole tornarci, impacchettare nelle fasce il figlio,
riportarlo all’origine di illeso.

(Erri De Luca)

E quando la parola si rende finalità presente nel mondo si apre un lampo di luce, una spontanea necessità che è il desiderio naturale di conoscere Dio e l’Altro da noi e tutto ciò che non è direttamente verificabile dalla nostra esperienza fino all’essere eterno che è l’uomo e la sua stessa ragione di esistenza. Si valica in pochi giorni la bellezza, il bene la verità come un passo dolomitico e poi si torna a valle coi polmoni pieni d’aria. Questa fiducia ontologica a priori sulla conoscenza del mistero e sull’abbandono allo stupore, seppur per un istante crea il suono che rende fisico il nostro tendere verso la verità:

ma cerco il suono disperso
che era anche voce del vero
senso di uno sorgente
che verso l’altro nasceva

(Eugenio De Signoribus)

Senza la fiducia nella verità e nella convinzione che qualcosa debba essere vero non si lascia il passaggio a una presenza che illumina la nostra conoscenza e muove il nostro cuore a farsi povero di fronte all’altro. il senso che deriva da questa nostra libera scelta è l’esistenza:

Nascere, natale, il nascere
supremo. Il nostro
nascere, il nascere totale,
il nascere del figlio
eletto, l’evento senza uguali
l’esserci di colui, di ognuno,
che vorrà vedere il mondo,
mettere in salvo il mondo
e che è nostra immagine
nel nostro cuore.

(Maurizio Cucchi)

Le manifestazioni del sacro o ierofanie che caratterizzano «l’antica favola» introducono la rivelazione a proposito di un Dio che si manifesta e comunica con noi nella Storia. La Natura ne rivela di fatto la sua essenza fisica che trova chiarimento dentro di noi e con la parola rende ogni vibrazione dell’animo atto pienamente umano:

nata fuori stagione,
subito spenta,
questa viola d’inverno
mi rallegra,
la primavera cova
sotto il gelo

(Umberto Piersanti)

Dunque quando l’uomo vuole rendere bello il mondo torna a respirare col fiato di Dio. L’evoluzione biologica, cosmica e culturale respirano la creazione nella sua realtà di natura e nella sua intellegibilità come il fatto, l’esistenza, l’inizio da cui non può che esserci il divenire e un amoroso senso che salva:

El fiâ de Diu ghe lû sura el cuppin.
L’è calde l fiâ e frecce l mè pensà
che ‘l slisa via e ‘l svöja el so mantìn
de stori e de resun che fan pissà.
Ma ‘l fiâ me curr adré, el me tampìna
e mì me lassi andà al so parlà:
che bèll deventa el mund d’inturna a mì!

Il respiro di Dio ce l’ho sulla nuca/E’ caldo il fiato e freddo il mio pensare/che scivola via e svuota il suo tovagliolo/di storie e di ragioni che lasciano il tempo che trovano./Ma il respiro mi rincorre, mi tallona/e io mi abbandono al suo parlare:/che bello diventa il mondo intorno a me!

(Franco Loi)

Questa raccolta di testimonianze inedite che hanno ricostruito il dono del Natale dal soffitto della guerra alle stelle della «contraerea», all’attesa «che aspetta/ancora nell’assenza» è un sogno che non esce mai dal cielo come la pecorella dal pendio, la fatica della gente dal sentiero:

scesa dal cielo per posarsi
sulla punta dell’albero»

(Valentino Zeichen)

«L’antica favola», che non ha più nulla di antico se non il naturale feeling con l’amore, mette in fila nella memoria i colori dell’albero, il bene, gli errori, i volti incupiti dell’anno, l’occhio ugualmente stupito dai vetri e la festa, l’alba veloce che arriva.

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