L’antico Appennino di Paolo Volponi – ritratto di un poeta

umberto piersanti e paolo volponi

Tutto in questo ritratto per versi e per immagini è reale, questo lo si capisce subito. A cominciare dai primi fotogrammi dove la grande banda di insetti, di uccelli e di rospi suona per le valli. Poi si affievolisce e nel campo seminato o a maggese, sotto un vecchio poggio, si vede un poeta dotato di una grande e trasandata eleganza con un piccolo cappello appena appena schiacciato sulla fronte, e un altro poeta che sistema l’inquadratura con orgoglio ed eleganza, come se entrambi, sin da subito, sapessero della letteratura qualcosa che noi ignoriamo.

Le due figure si incontrano, stanno vicine. L’una magra, con capelli scuri spettinati e barba corta. L’altra tarchiata, con volto a tratti costernato. Entrambi poeti, anche se, a giudicare dalle loro apparenze, quel giorno avrebbero potuto essere anche due profeti o due veggenti.

Le parole sulla donna che sorge dalla terra. Poi antiche vergini e figure di donna custodite attorno a una figura di dignità. Poi Volponi con ironia concorda con il giudizio, qui non espresso, di Piersanti di far parte della “generazione del casino”. Si tratterebbe dunque di distinguere tra la sessualità occasionale e la visione lirica ed emotiva del femminile. C’era lirismo nell’incontro con le coetanee, convergono sul fatto che esistevano però tensioni terribili. I poeti si innamorano forti e onesti e sono disperati in amore. Volponi ricorda, Piersanti incalza. Capiamo che non c’è in loro né decadentismo né compiacimento.

Le contadine (non solo giovani ma spesso belle) camminano lungo una strada di terra battuta, una strada che si indovina non troppo ampia, e non alzano mai il viso verso l’occhio della macchina da presa, nessuna sosta sul loro cammino. Il mondo contadino del primo Volponi è soprattutto natura. La dimensione naturalistica viene fuori assieme a un eros intenso e carnale. È questo quel che attende noi spettatori, una passeggiata succinta scritta su vecchi quaderni, le poesie come macchie sparse nella vertigine delle immagini e delle domande, nella vertigine però anche della vita, del breve tratto di vita che a ogni essere umano è destinato. Con “Le porte dell’Appennino” esce un quadro più sociale. Subentra una dimensione civile di rivolta e di protesta, una rivoluzione pur sempre materiale prima che ideologica. La bandiera rossa come Santo protettore.

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Paolo Volponi e Umberto Piersanti nel documentario “Il verso e l’immagine. L’antico Appennino di Paolo Volponi”

Volponi guarda al futuro ed è concreto. La presa d’atto civile che non è necessariamente politica. Piersanti è visionario e guarda al passato: non ha prospettiva civile ma più memoriale. Una visione realistica e mai neorealistica. Gli scenari sono quelli della campagna urbinate. Non si soffermano troppo sulle miserie dei contadini.

Stanno appartati, ancora l’uno di fronte all’altro, con eleganza e senso della misura. Conversano mentre la luce del pomeriggio si trasforma in un crepuscolo arancione sui tetti di una Urbino atemporale. Siamo nel 1981. La civiltà contadina è quasi del tutto scomparsa, restano solo i vecchi mulini e le vecchie madie. Sembrano discutere della poesia come di un’ossessione comune, un virus che si era insediato nelle loro anime quando erano ragazzi e che non li aveva più lasciati.

Siamo di fronte a un lavoro di grande modernità. Un filmato che raggiunge la dimensione lirica del poemetto visivo, un ritratto d’autore fatto di impressioni e di immagini che sfuggono alle categorie prestabilite del documentario.

Piersanti pare voglia mostrarci come un poeta può sopportare di tutto. Sul fondo della campagna, Volponi si concentra e recita con tono intenso e commosso questi versi: “Bene che sia caduta/dal platano la foglia più alta/che ricoprano il fiume/tenerissime nebbie/e la macchiola resti/greve di pioggia…”.

Noi cresciamo, ringraziamo e accogliamo i precetti.

Andrea Lepretti

Paolo Volponi legge la poesia La mia banda nel documentario “Il verso e l’immagine. L’antico Appennino di Paolo Volponi”
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