Cominciamo così, dal fatto più evidente a tutti, almeno a quelli che la poesia la frequentano con un po’ di abitudine quotidiana: la suddetta, almeno qui in Italia, è un poco ignorata, svilita, confinata, oscurata e anche noiosata (se mi passate il neologismo), e alla fine appare sorpassata da molto e da tanto, certamente dai vari progetti più o meno letterari, più o meno artistici in genere, furiosamente incanalati per verdi e luminosi sentieri – e forse anche per questo, piuttosto semplificati nelle intenzioni e, soprattutto, nei risultati. C’è, ovviamente, una ragione precisa per questo; anche se il presente scritto non è veramente il luogo per dirne, per approfondirne, basterà un solo fatto e poi si potrà svoltare verso la consistenza propria che dovrà caratterizzare queste pagine.
La ragione principale, a mio avviso, risiede nel fatto che oggi, come varie decine di anni fa e giù fino all’altro secolo e ancora più indietro e indietro, la poesia ha ancora (fortunatamente) un assoluto bisogno di forza d’animo, di impegno mentale e morale, infine di una resistenza al presente per dirla con parole povere, tutto quello che gli attuali progetti di cui sopra, salvo davvero pochissime eccezioni, considerano assolutamente delle dabbenaggini (anche se poi, ufficialmente, cioè solo per parole dette, dicono di condividere), preferendo accucciarsi ai piani alti di qualsiasi vantaggiosa situazione.
Mi torna in mente il meraviglioso racconto di Bianciardi, La vita agra, una prosa che per forma e contenuto, dopo tre quarti di secolo, brucia in mano quando ne leggi. E leggiamo in questo libro come il “poetico” desiderio di far saltare in aria quel simbolo del potere coercitivo e assassino, che Bianciardi chiama il “torracchione” – un desiderio che, meglio sottolinearlo, è una metafora, altrimenti visti i tempi rischiamo l’elezione forzata di questo romanzo a nuova bibbia del terrorismo – questo desiderio man mano si sfaldi, si sbricioli, si accartocci dentro il cestino della qualsivoglia vita quotidiana. Una vita con le sue circonvoluzioni dannatamente ansiogene e complicate, ma apparentemente più semplici da condurre, per poi condursi anima e corpo, secondo una regola sintatticamente e soprattutto mentalmente prosastica, a capofitto dentro un vivere irrigidito e catafratto.
Detto questo, e dettolo rinculando per ben saltare con (spero) maggiore efficacia all’argomento che cercherò di affrontare al meglio che posso, ecco che l’antologia La poesia degli animali, curata da Mino Petazzini, la accolgo come il presente tentativo di far saltare questo inquietante molosso, il quale oscura la precisa visione del paesaggio di una (nostra) realtà non nuova, ma ancora negata(ci) dall’ombra che l’attuale “torracchione” proietta su di essa. La poesia avrebbe questo compito, così come la prosa, la letteratura, le arti in generale, se ben condotte da una onesta motivazione, che spiego riportando un paio di righe dall’introduzione del curatore: “La poesia (…) sa ancora aprire porte che sono di sua quasi esclusiva pertinenza, sa indicare e suggerire percorsi della mente e del cuore peculiari, qualche volta inebrianti, fulminei o duraturi (anche tutta una vita)”.
Questa antologia è in realtà una trilogia, di cui quest’ultimo volume, da poco uscito, tratta della poesia sugli uccelli, “dall’airone allo zigolo, passando per allodola, cigno, gabbiano, merlo, rondine, usignolo e tanti altri” come recita il sottotitolo dell’ultima “fatica” di Petazzini (uso le virgolette, perché il curatore confessa di averne tratto non affaticamento, ma vero piacere). I due volumi precedenti antologizzano rispettivamente*: il primo, la poesia degli animali domestici; il secondo, la poesia degli animali selvatici. In aggiunta, questa trilogia è preceduta da un primo volume**, che ha dato il via a tutto il progetto e che tratta della poesia degli alberi. Un lavoro enorme, per un enorme piacere sia del curatore che del lettore attento e consapevole di cosa oggi la poesia sia ancora capace di dire e di scavare. Tutto questo lavoro è stato edito dal combattivo e prezioso luca sossella editore. In queste pagine prenderò in esame, per evidenti ragioni di spazio, il volume più recente, lasciando a chi desidera farlo di ricercare gli altri, anche attraverso le scarne ma corrette indicazioni che ho più sopra riportate.
Un lavoro antologico, per sua natura è uno strumento che fissa (o vorrebbe fissare) una situazione, che sia essa storica, sociale e letteraria, con tutti i distinguo del caso, perché nessuna antologia può (e neppure deve) essere esaustiva. L’impossibilità a ciò fornisce appunto le indicazioni di curatela della suddetta, le intenzioni che la vorrebbero animare, le idee sulle quali certe scelte vengono fatte e messe in atto, manifestate secondo una idea molto particolare che si vuole trasmettere. Nel caso invece del progetto attuatosi nei quattro volumi già detti, a mio avviso le cose sono decisamente diverse: l’idea che il curatore aveva in testa, e che ha svolto attraverso gli strumenti a lui congeniali, è stata quella di armare un poderoso esercito che ha nome Poesia e di schierarlo sulle pagine, mostrando come ogni testo abbia la capacità di far valere la propria forza, secondo le proprie capacità di combattimento contro questa nostra realtà.
Ogni seria espressione artistica avrebbe questa capacità, ma la poesia – quando rientri nella categoria appena detta della seria espressione artistica – possiede la particolarità di saper trasformare le parole in piccole ma potenti braci, che possono bruciare “fuori” e illuminare “dentro”, nel mondo come nel singolo individuo. La Poesia quindi, senza nessuna direzione propriamente storica, sociale e letteraria, senza alcuno schieramento da manifestare, se non quello della Poesia in sé, in questo volume come nell’intero progetto annuncia appunto se stessa e il proprio fare e farsi, per (tentare di) “rifare”.
Allora, qui troviamo la poesia sugli uccelli: va subito precisato che Mino Petazzini, che è il curatore, oltre che prezioso amico e vigoroso poeta, ha svolto la sua quasi intera storia lavorativa presso il Centro – poi Fondazione – Villa Ghigi, dirigendolo con valentia e acquisendo, ma direi sviluppando, quello che già era presente in lui, una sensibilità ambientalista, poi riversata nell’intero progetto. Petazzini, così come già fatto per il materiale presente nei precedenti volumi, ha raccolto i relativi testi con grande acribia, catalogandoli per specie trattate, “(l)e sezioni sono risultate esattamente 101”, e arricchendo ognuna di queste con una descrizione che definisce e contestualizza non solo ornitologicamente la specie stessa – insomma, un primo approccio alla natura degli uccelli attraverso la specola poetica.
In questo volume, come anche nei precedenti, gli autori presenti sono tanti e di molte nazionalità. Il quadro che ne risulta è quello di uno strumento artistico, che attraverso la sola parola induce a sentimenti, produce immagini, sviluppa pensieri, spinge a risentire il mondo come qualcosa da ritrovare. Non voglio inserire qui alcuni nomi – i più riconoscibili per fama e onori, del passato e del presente, tralasciandone altri meno noti o totalmente sconosciuti; né voglio compiere l’operazione inversa, per almeno due motivi: il primo è che un tale lavoro, l’intero progetto di cui questo fa parte, vale fondamentalmente per la rappresentazione che dà della Poesia, di tutta quella racchiusa in questi tomi; la musica che ne esce è quella di un concerto, di una sinfonia (lasciatemi usare questa espressione un po’ desueta, ma utile per il mio discorso), dalla quale può certo uscire un primo violino, un assolo di piano, ma anche un sorprendente ritmo di percussioni o l’irrinunciabile suono della campana che vibra per un mortale commiato. Il secondo motivo, non meno importante del primo, è che vorrei che l’eventuale lettore, interessato (spero) ad acquistare questo volume – e magari anche i precedenti – possa essere spinto da una sana e vitale curiosità, più che da una lista di nomi proposti, usati il più delle volte, quando lo sono in molte recensioni che si possono leggere oggi, allo stesso identico modo in cui nei supermarket si usano i prodotti civetta, quelli che fungono da calamita per attirare l’attenzione e spingere all’acquisto specifico così che, di seguito, altri acquisti ne potrebbero derivare.
So che l’ascolto di queste voci (e, alla fine, dell’unica Voce che compone questi libri) vi accompagnerà per molto tempo.
Salvatore Jemma
Mino Petazzini (a cura di), La poesia degli animali, vol. 3, Roma, luca sossella editore, 2024.
* Mino Petazzini (a cura di), La poesia degli animali, vol. 1 e 2, Roma, luca sossella editore, 2021 e 2022.
** Mino Petazzini (a cura di), La poesia degli alberi, Roma, luca sossella editore, 2020.
Note biografiche:
Mino Petazzini è nato a Casalmaggiore, in provincia di Cremona, nel 1953. È laureato in filosofia (per quanto con una tesi su Bob Dylan). Dalla fine degli anni Settanta agli anni Ottanta ha fatto parte del gruppo di giovani poeti raccolti intorno a Roberto Roversi, partecipando a letture pubbliche e altre iniziative. Ha scritto occasionalmente anche di musica. Vive a Bologna, dove è stato direttore della Fondazione Villa Ghigi. Negli anni Bohumil ha pubblicato una riedizione del suo primo libro, Radio dei giorni di pioggia, e poi WB, La seconda solitudine, Salvatico,Scheggiando i muri, Solitudine e moltitudine, Non vedo l’ora di raccontarti, Come stanno le cose e il testo in prosa Il grasso pazzo e io. È tra gli autori di Alfabeto Roversi.Negli ultimi anni ha curato per Luca Sossella editore le voluminose antologie La poesia degli alberi; La poesia degli animali – vol. 1, sugli animali domestici; La poesia degli animali – vol. 2, sugli animali selvatici; La poesia degli animali – vol. 3, tutta dedicata agli uccelli.
Salvatore Jemma (Bologna, 1951) ha collaborato nei primi anni Ottanta come socio alle iniziative della ‘Cooperativa Culturale Dispacci’. Ha tradotto dall’inglese, di Robert Penn Warren, il poema Audubon. A vision e la raccolta di poesie Rumor verified. Suoi scritti sono presenti in varie antologie e su riviste. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Scene, Diciotto poesie, Decisioni – Plenilunio di novembre, Decisioni – Paesaggio italiano, Decisioni – R.R. 1-30, Decisioni R.R. 31-45, le raccolte di saggi critici Il movimento della poesia e Dammi un segno. È tra gli autori di Alfabeto Roversi.