Pubblichiamo un intervento di Davide d’Alessandro uscito su Il Foglio, che ricorda il ’68 attraverso lo sguardo di Umberto Piersanti e della sua poesia.
1968-2018. Cinquant’anni. Ricorrenza speciale. C’è una deliziosa battuta che Woody Allen mette in bocca a Ian Holm nel film “Un’altra donna”: «La sola cosa bella di fare i cinquant’anni è che non li rifai». Neppure il ’68 li rifarà. Allora, questo è il momento. Tutti scrivono, ricordano, celebrano, rimpiangono, criticano, rivisitano, approfondiscono. Io non posso. Sono nato nel 1966. Avevo appena due anni. Umberto Piersanti, il poeta d’Urbino, di anni ne aveva ventisette. E a quegli anni ha dedicato una poesia, tra le più belle. Riproporla è un modo, anche per me, di accostarmi a una stagione non vissuta, di misurare il tempo ch’è passato, il tempo che tutto devasta.
Alle ragazze degli anni ’60
ah! le acerbe primavere
di quegli anni,
le ragazze sui ponti
e nelle strade,
scende il vento dai monti
alza capelli e sciarpe
ridono le ostinate
dentro l’aria,
sciamano le altre
ai portici,
siedono nelle scale
e sopra i muri
friggono le cresciole
è carnevale,
un carnevale povero
tra i monti,
giovane professore sento le vesti
strisciarmi e il caldo
tocco delle mani,
le mascherine bussano alla porta
reggono grandi canestri
per radi doni
per altre prode il tempo
vi trascina
il tempo che devasta
le figure,
ma io vi scorgo ancora
camminare,
ridere sopra i ponti
lievi svanire
il tempo ch’è passato
lo misuri
dall’occhio che ti lacrima
e non sai
e il cuore ti trema
se l’aspetti,
ti tremano le mani
se la spogli
Umberto Piersanti