Vivere “Fuoristagione” – Il nuovo libro di Antonio Malagrida
In questa nuova raccolta di Antonio Malagrida, intitolata Fuoristagione (Raffaelli editore, Rimini 2016), si evolve e si affina il percorso dell’autore, che porta a compimento una ricerca poetico filosofica iniziata con le sillogi precedenti, dimostrando maturità di scrittura e consapevolezza letteraria.
Quattro sezioni nelle quali si affrontano altrettanti temi: l’amore, il rapporto con la morte, il tempo, la memoria. Luoghi classici della poesia, visitati però con lingua moderna, costruita con un vocabolario quotidiano ma nello stesso tempo lirico, raffinato.
La prima sezione è dedicata all’amore, passione presentata quasi con tono di sacralità: << L’amore non si cerca/ l’amore non si chiede l’amore non si fa. / L’amore cade addosso. E sta >>, anche se poi viene raccontata attraverso esperienze di vita: << Questa mattina, saranno state le 7 e 50 / fuori la rotonda, quella con lo sponsor delle calzature / ho incrociato dopo mesi il tuo volto dal retrovisore >> e con efficace uso di metafore e similitudini: << ha capelli fuoco e polveriera … è una scintilla … Faceva un freddo bello come l’amore >>.
I testi, organizzati quasi in forma di poemetto, con ironia e disincanto tracciano il corso di un sentimento. Inizialmente prevale la gioia: << Mi rimani sulla pelle come il tempo >>. Segue la riflessione: << il tuo volto si accigliava, si rigava di paura / sembrava avessi fretta, quasi smantellavi >>. Infine rimane il vuoto: << Ma il battito, il fiato, l’affanno per godere / l’alone, il nome e tutto quanto / se l’è tirato il vento >>.
Aprono e chiudono la sezione due poesie nelle quali prevale un tono di disillusione: la comunicazione virtuale, l’uso ossessivo della tecnologia, la “verità” superficiale dei media sembrano costringere l’uomo a vivere la profondità dei sentimenti in luoghi altri o in momenti migliori: <<… i nomi delle cose trionfano / tra le chiacchiere di chi posta sullo smartphone / la foto al mare, le parole di una canzone /…. Entriamo adesso allo show, il circo nuovo. / Presto il fatto è finito, torniamo via. / Uno spettacolo buono forse / per chi fa il pagliaccio tra i colori / per chi mostra i muscoli sotto i riflettori…/ …. Certo che sì, amore mio / sarà in un altro momento la nostra bella occasione >>.
Nella seconda parte, che ha per titolo Quando tornano, oscura è la riflessione del poeta di fronte al mistero della morte.
Egli quasi si compiace del non sapere: << Ciò che non vedi, quello che non sai / ti ha salvato un milione di volte. Almeno >>. Il tono si fa drammatico: << Venga pure grandine, neve, tempesta e gelo. / Sfioro la cornice, sono fuori dal tuo quadro >>. Lo stile è dialogico, lapidario, ermetico: << Sono lontano oggi, sono molto lontano >>.
La personificazione del silenzio, le presenze che tornano e si allontanano, il riferimento alle fate e ad una sorta d’incanto: << Il silenzio delle foglie racconta il passo delle fate. Dici mentre t’allontani. >> rivelano una difficoltà nel trovare un senso compiuto, nel capire una differenza reale tra la vita e la morte.
Prevale il dialogo con chi “torna”, c’è un continuo con-fondersi dei due mondi, quello dei vivi e quello dei morti.
Siamo nel pieno della vicenda esistenziale del poeta, nel crogiolo delle esperienze tragiche: << L’età di chi non resse, di chi c’era e adesso non c’è più >>. L’unica certezza è La notte che rimane.
Poi, inaspettatamente, l’ultima poesia di questa sezione diventa un commiato dettagliato da chi non c’è più, attraverso l’allegoria del compito in classe: << Qualcuno avrà capito gli errori, vorrebbe rientrare. / Quel compito lo vorrebbe rifare, meritare un voto migliore / … Spetterà al professore, se ne avrà voglia, la valutazione >>.
La terza sezione è dedicata al tempo, il quale lascia ben poche speranze nel suo passaggio ineluttabile: << Il tempo passa, abbassa il viso / sull’altro lato della strada. / Noi immaginiamo abiti la stessa notte / che sfogli i petali dello stesso fiore / che almeno si commuova quando c’è la neve. / Non accade >>.
In un altro testo, il destino degli animaletti invisibili, quelli da eliminare nel corso di una normale pulizia casalinga, s’intreccia con una volontà superiore. Il poeta decide di risparmiarli, ma non nutre certezze sul fatto che questa azione potrà essere “ricambiata”: << forse … quando verrà la resa … nessun dio farà con me la stessa cosa. / Non ci sarà tempo, nemmeno mezz’ora / nemmeno un giorno, nemmeno un minuto soltanto >>.
Dio e il tempo, dunque: un connubio che non lascia scampo, poiché Siamo tutti vittime della stessa regola del gioco.
Poi la personificazione delle tegole, che raccontano gli anni, è l’ulteriore conferma del mistero perché … Non sappiamo quando cederà quella postazione fianco a fianco/... la fine è così per tutti. Vorremmo capirne il motivo ma … Chi conosce la formula me la dica, me la scriva qui.
Ciò che conta, in definitiva, è vivere nel presente: << usare la memoria, la pace, il sorriso / il gesto, la parola finché ce n’è >>.
Memoria è il titolo dell’ultima parte, composta da un’unica lirica.
È un confronto acceso, un dialogo- scontro sulla sostanza e sulla finalità della memoria.
Narrativo il tono, prosastico lo stile, ma non per questo meno incisivo, anzi, straordinariamente potente nella sua particolarità.
Il racconto di un incontro casuale tra ex compagni di classe in un bar vicino alla vecchia scuola elementare, si snoda con ironia, stemperando la forte tensione drammatica della sezione precedente.
Durante la conversazione ognuno espone le proprie idee.
Un professore considera la storia come la chiave per aprire la porta del futuro: << Imparare dal passato senza farsi intimidire dal giudizio >>; l’esperienza della meditazione fa credere ad altri che la Memoria si trovi nel corpo stesso e nelle sue continue metamorfosi esistenziali: << La memoria è un processo involontario di materia >>. Lo scienziato invece è ancorato alle proprie teorie: << Il tempo non esiste … è un’illusione / come la memoria >>.
Poi c’è il barista, che porta birra al tavolo, e la voce narrante, i quali non partecipano alla discussione, attenti ognuno a suo modo alla pioggia: << Gli ombrelli, urla a chi entra, lasciateli fuori! /… La senti, la senti, la pioggia, barista? >>.
La memoria insomma, quella vera, nasce dall’ascolto attento e incondizionato di quanto accade dentro e soprattutto fuori da sé: l’unica via affinché questa non si cristallizzi in una verità soggettiva e diventi modus vivendi per affermare, anche violentemente, il proprio punto di vista sugli altri.
Emanuela Capodarco