Oblio.
Una parola che suona bene,
come aprire un oblò
che si affaccia
sui buchi neri delle storie private.
Dimenticare il set.
Non usare colonne sonore.
Tornare a casa il più presto possibile.
Dimenticare le vele le vele le vele di Dino Campana.
Pensare piuttosto
alla sospensione del direttore d’orchestra,
prima di ordinare l’attacco dell’ouverture.
I palchi del teatro come tanti oblò.
Occhi attenti.
L’animo di ognuno pronto a commuoversi,
pur schernendosi per le lacrime che arriveranno ineluttabili,
causate semplicemente da quel meccanismo matematico
della combinazione di suoni,
melodie, colori e persino di sapori evocati.
Masticare solo dopo un po’,
quando il groppo in gola sarà sparito,
la polvere della strada,
per avviarsi lenti sulla via delle rimembranze.
Leggere in quei rari casi “Recueillement” di Baudelaire.
Tu esigevi la sera.
Eccola.
Vois se penchez les défuntes Années.
Guarda allora il Sole moribondo
addormentarsi sotto l’arco di un ponte.
Solo quando sarà il momento però,
non adesso che il sole è alto ancora.
Antonio Prenna