di Davide D’Alessandro
Film su Leopardi, film su Pasolini. Li vedrò, ma ai film continuo a preferire i libri. Il Leopardi di Citati, dal punto di vista letterario e il Leopardi di Severino da quello filosofico. Su Pasolini ho appena riletto “L’autunno della coscienza”, impeccabile analisi e introspezione psicologica di Aldo Carotenuto. Libro del 1985, ma libro senza tempo. Libro che ci mostra come la mancata capacità, dell’autore di “Ragazzi di vita”, di saper ascoltare l’inconscio, di accoglierlo, di mediarlo, di armonizzarlo, di integrarlo, l’abbia lentamente condotto a essere invaso, posseduto e devastato.
Pasolini non muore nella notte tra il primo e il due novembre del 1975 sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia. Pasolini recava dentro di sé la morte, il respiro della morte. In lui, e nella sua opera, nei personaggi, che dal sottofondo eleva a protagonisti, non c’è una lotta feroce tra vita e morte, ma tra morte e morte. Senza possibilità di uscita. Una vita tragica, di un uomo tragico, finita tragicamente. La morte, ha scritto egli stesso, “non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”. Dagli altri o, ancor prima, da se stessi?