Non dimenticar le mie parole
Ricordo di Manlio Sgalambro
di Davide D’Alessandro
Doveva morire, Manlio Sgalambro, perché “La cura”, il capolavoro che affidò nelle mani di Franco Battiato tornasse prepotentemente sulle pagine culturali dei nostri stanchi quotidiani, a dirci di due siciliani veraci, di una coppia feconda e luminosa, di un’arte raffinata che non andrà perduta. Se è vero, ed è vero, che “nomen omen”, il destino che risiede in Manlio Sgalambro è di qualcosa che sta di traverso, di sghimbescio, che suona irregolare e perciò singolare, a tratti unico. Se ti chiami Manlio Sgalambro e la terra che ti ha visto nascere si chiama Lentini, sotto la luce impietosa dell’isola bedda, il resto viene da sé. Chi non smette di divorare “La morte del sole”, sa. Chi lo lesse, appena l’autore lo inviò ad Adelphi, non perse tempo a scartarlo. Fortuna, o destino, volle che finì sotto la lente di Roberto Calasso, il quale vi avvertì “un timbro anomalo rispetto a chiunque altro scrivesse di filosofia in Italia”. Anomalo. Aspro. Urticante. Perché Sgalambro non scriveva di filosofia. Viveva la filosofia. Che quasi sempre non si lascia scrivere, ma vivere. E cantare. Come lui l’ha cantata. Con disperazione e leggerezza. Con eterna grandezza.
Ieri sera riascoltavo “Non dimenticar le mie parole”, cantata, direi sussurrata da Sgalambro, filosofo vero perché non riconosciuto da chi filosofo sembra, ma non è. La riascoltavo poiché la leggerezza e la grandezza sono il sale della vita. A Vincenzo Mollica, che gli ricordava come qualcuno avesse trovato sorprendente la sua scelta canora, Sgalambro rispondeva: “Un aneddoto storico dice che un filosofo può fare tutto. Io non ho scelto la pratica politica, come fanno molti. Ho scelto la pratica dello spettacolo”, mentre un segno ironico del viso, tutto siciliano, accompagnava e scolpiva le parole appena pronunciate.
“Non dimenticar le mie parole, bimba tu non sai cos’è l’amor, è una cosa bella più del sole, più del sole dà calor. Scende lentamente nelle vene, e pian piano giunge fino al cuor, nascono così le prime pene, con i primi sogni d’or. Ogni cuore innamorato si tormenta sempre più, tu che ancor non hai amato, forse non mi sai capire tu”. Grande Sgalambro! Manchi, quanto manchi, anche se rileggere i tuoi libri allevia la pena, dell’amor e del dolor. Gli italiani sono chiamati a occuparsi di Renzi, di Berlusconi, di Grillo, di Salvini. “Non dimenticar le mie parole” è un sogno di vita, una speranza di vita, un sapere che c’è ancora VITA.