Umberto Piersanti, il poeta dell’Opera/Mondo

isola tra le selve piersanti

L’isola tra le selve, Poesie scelte 1967-2024, Marcos y Marcos 2025

Massimo Raffaeli, nell’acuta Prefazione a L’isola tra le selve, Poesie scelte 1967-2024 di Umberto Piersanti, edito a febbraio 2025 da Marcos y Marcos, e che lui stesso ha curato, riprende una definizione che il poeta dà del proprio lavoro come Opera/Mondo. In effetti Raffaeli si riferisce alla trilogia, compresa tra il 1994 e il 2008, I luoghi persi, Nel tempo che precede, L’albero delle nebbie. Ma Opera/Mondo può in fondo anche essere detta tutta la poesia di Piersanti, perché è nella coerenza del suo canto, canto anche quando essere lirici era controcorrente, che ritroviamo alcune costanti di poetica che non accettano di essere confutate.

          Innanzitutto una Natura intesa non come sfondo ma come totalità. Non basta dire che gli è stata maestra la precisione dell’onomastica botanica di Pascoli, dal momento che nominare piante e fiori non è sufficiente a renderne l’anima, cosa che invece riusciva bene a Pascoli e che riesce magistralmente anche a Piersanti. Un solo esempio valga per tutti: “Ma di giuggiole, verdoni / e favagelli / ha senso parlare / nell’età del disincanto?” Ebbene questo ranuncolo, che in inverno macchia di giallo anche i muri del centro di Urbino, e che anni prima il poeta aveva descritto quasi come segno di resistenza, di attesa (p. 107), si è caricato a tal punto d’anima, da divenire il simbolo stesso della poesia, del suo eterno valore, del murmure sensato.

          La seconda costante nella lirica di Piersanti, ma soprattutto la chiave di lettura della sua Opera/Mondo è l’idea di recuperare nella memoria un qualcosa che è stato, di antico, di visionario, di praticamente mitico, che si confonde, si fa tutt’uno col mondo reale, mescolando anche il tempo, quel tempo differente sempre fonte di stupore. Ecco dunque che il poeta può sì invocare l’Eden che gli spetta, / Eden che solo nella memoria / ha dimora (p.211), e là lui può andare per il cielo / come lepre tra i campi (p. 124), ma contemporaneamente non rinuncia ad amare con tutto se stesso il tempo presente, guardando anche al futuro, al dono della nascita che permane (cfr. p.180). Può vivere nel mito con l’amore per i vivi di un tempo e insieme andare al cinema o in giostra con il figlio, Jacopo, autistico.

          Che L’isola tra le selve sia la terra delle Cesane è reso ulteriormente esplicito leggendo la lirica che dà il titolo al libro, inserita nell’ultima sezione, Poesie nuove, una sezione che ci autorizza a non parlare per tale preziosa pubblicazione, solamente di raccolta antologica. La poesia in questione, riassumendo la vita del poeta, ci presenta la sua Itaca che non può essere raggiunta a causa di fitte selve, / forse impossibili /da solcare (p.227).

Un punto interrogativo dunque, dato da quel forse -e altrimenti non avrebbe potuto essere-, il senso dell’esistenza.  

Itaca, intravista / e persa mille volte non è una certezza: la selva dantesca si è complicata, è data al plurale, si è infittita, ma non a causa del male, o perlomeno non solo. Per quello che non sappiamo, per le incognite della vita, piuttosto:

Il capriolo

Il capriolo piccolo
s’è perso,
gemono rami ed erbe
al suo gran pianto,
forse lo trova il lupo,
forse la madre.

Norma Stramucci

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