Da luoghi profani di Elisabetta Destasio Vettori

da luoghi profani elisabetta destasio vettori

di Rossella Frollà
Elisabetta Destasio Vettori
Da luoghi profani
Les Flâneurs Edizioni, 2023

«Entra – piano/vieni,/stenditi accanto:/restami nel tempo/di questa nascita/fatti pioggia che non batte,/entra»
Nella vita tutto è connesso e le esperienze delle fragilità sono misteriosamente intrecciate l’una all’altra nei luoghi degli affetti, dei ricordi, delle attese, delle conquiste amate e sofferte. Quando il destino si immerge in questi luoghi la parola non fa fatica a emergere e si fa propulsiva. Le rêverie della poetessa raccontano il volto duro e struggente di Roma e le parabole agoniche dell’io segnano una circolarità tracciata in modo quasi perfetto che torna a sé stessa, all’origine degli affetti e ad altri luoghi lontani dove il ricordo volge lo sguardo all’assenza del padre e si fa dolore presente. Ogni immagine è sulla soglia di una intuizione, di un suggerimento, secondo un disegno maturo, quasi perfetto che incastra passato e presente in un lucido racconto, senza se e senza ma, «spietato» come lo definisce Roberto Deidier nella prefazione. Io direi, mappa capace di evocare tutte le immagini che la poetessa controlla dal di dentro, senza tralasciarne alcuna, anche quelle che più si fanno desiderare, quasi vengano dai nascondigli più segreti. Non arrivano mai a ondate, mai per caso. Sono chiamate, volute, restituite con cura perché riflettano l’istante che l’io non vuol perdere. In questa esatta vertigine vi è tutta la fascinazione del libro che ricompone il fatto, la memoria nei luoghi geografici della mente, in quelli del cuore e in quelli della città che vive e respira all’unisono con l’Elisabetta, mai alterando le percezioni dei sensi.

Alcune immagini avanzano quasi annebbiate, altre più docili, a gruppi ordinati, con una cadenza che somiglia a quella del tempo: «La schiena di Roma/nell’incurvarsi dei platani, /sul lungotevere/in autunno rifiorisce/il gelsomino/ci arrendiamo/agli dei degli stracci/e alle cose abbandonate».

La bellezza in questo libro è nell’idea di una «materia illuminata» che si incarna come il corpo nell’ambiente cosmico, nell’alveo dell’altro, nelle creature della Natura, dove il poeta si studia e si guarda e si racconta in modo dettagliato, lì, dove tutto il suo essere è «nel dividere il petalo della/mia carne/dal battito dell’universo.».

Ogni atto si traduce in ritorno e così anche l’ignoto nella sua magica liberazione dalla materia vuole rendersi visibile.

Ogni parola è l’affermazione e la ricerca di una unità vitale tra l’io e il mondo, tra le ferite della vita e le emozioni fasciate, le gioie apprese e sostenute, i dolori contratti e quasi rincorsi. E l’atto, in forza di quell’unità originaria, è chiamato come la materia allo stesso destino dell’uomo: «Tutto il blu/nel costato del tuo inverno,/al bordo -/senza sottrazione/capire il rintocco delle campane,/la voglia di farsi silenzio/mutare in superficie argento/del gelo/attendi, attendi – dici/il pulsare vermiglio/delle nostre aorte – unisono».

E, dunque, quando l’atto rende visibile il desiderio, spezza la morsa dell’attesa e il ritrovarsi è: «sputare fuori la gioia sommersa». E il desiderio è la possibilità di rendere visibile il cielo «senza dolore/senza strappi di reni/vertigini», come «linfa pronta».

La memoria dei sentimenti è vissuta come metamorfosi senza fine, come matrice di attesa che si dona, di nostalgie chiamate ma non cullate, amate e non esposte all’oblio. Non è questa una memoria che ferisce l’io, ma una danza del cuore che si guarda allo specchio: «parlami, sotto la limonaia/della restanza/del luogo da cui non ti sei/mai voluto strappare/ – nemmeno per dimenticarlo».

La lontananza al di qua della rappresentazione è l’oscuro che trattiene l’assenza mentre la forza dell’io si sente potente e una luce teneramente prende forma:

L’urto
è avvenuto scrivendo
il tuo nome – nella casella richiesta
accanto alla data del tuo decesso
l’allegato riporta trentuno gennaio, alle ore [ ]
per sottoscrivere, confermare
l’avvenuta scomparsa
[ … ]
Perdono lo squarcio
il limite valicabile delle mie
labbra

la casa
che ancora non ti sono

tra collo e mandibola
poterti essere
punta acuminata di una stella
filo d’erba

una pace sul vuoto

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1 commento a “Da luoghi profani di Elisabetta Destasio Vettori

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