Ogni libro di poesia ha nel suo percorso testi che richiamano un altopiano, una serie curata di lavori che rappresentano una sorta di preparazione, di predisposizione a un imminente innalzamento dei toni. Altri, più circoscritti che si identificano fin da subito come apici, vette del libro: pagine che vengono segnate perché pretendono una rilettura, un approfondimento maggiormente accurato.
In “A declinare il respiro del tempo“ (Edizioni Mondo nuovo, Pescara, 2023), recente raccolta di Anna Maria Giancarli, il primo, forte richiamo è nella chiusura della poesia Stille di pace in terra di Palestina che fa così: Gli occhi verdi dell’albero fissano/fiori prigionieri, allora, con verdi dita/ elargisce semi per altri alberi di pace/da crescere dentro e fuori di noi. Una umanizzazione delle cose, degli elementi della natura che rappresenta un tentativo di dare voce e sentimento a tutto ciò che ci circonda, un modo di scrivere poesia come pochi ne esistono oggi in Italia. Ma altri ne seguono e almeno un altro merita di essere citato: “Tira agosto calci d’arsura/e colpi di spade infuocate biodoaccese/e incantamenti di stelle cadenti”.
Una linea di scrittura personale, originale nel suo vagare tra accadimenti quotidiani e riflessioni sulla precarietà del nostro tempo. Da qui le molte, addensate nodosità, le screpolature del discorso che si inseguono incessantemente. Una scrittura avvolgente e tesa che si protende su un orizzonte di aspettazione, ma che si apre anche, sensibilmente, ai varchi che si aprono in questo diario lirico. Da qui il carattere di necessaria vitalità ma anche di senso di fragilità e vulnerabilità, ovvero un concetto di poesia sentita come disponibilità piena a riproporsi in causa con il mondo. Un mondo che, a volte, sembra sottrarsi, volersi chiudere in sé: … il tempo ha disegnato impronte/sul mio viso/con radici di passato e rughe/nella mente tempestosa/implacabile… mi è caduto addosso il tempo/violento… mentre giocavo a carte scoperte.
La poesia, dunque, chiamata al compito di raccontare lealmente e senza filtri il grigiore del mondo, può allo stesso tempo raccontare le sue luci sopite: tener desta la memoria e al contempo emarginare ciò che ritiene diverso. Dal nastro della realtà, in sintesi, si trapassa allo scorrere della scrittura e viceversa. In fondo essere poeti è anche essere sovrano del pensiero, ma soprattutto essere capace, o almeno sperare di esserlo, di rinvenire le connessioni di senso nelle pieghe più imperscrutabili della coscienza e della realtà. E si leggano, da questo libro, per primi, alcuni testi esemplari come Un tempo nel tempo, L’Aquila dall’occhio veloce, Flor de mujer, Non c’è scampo. E poi, naturalmente, tutto il resto.
Tiziano Broggiato