In occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità (3 dicembre) pubblichiamo la recente recensione, del critico Alessio Alessandrini, al libro di Roberto Marconi “Il collaudatore d’altalene (autismi e artifici letterari). Al figlio unico di Annie Seri e Umberto Piersanti” (Affinità Elettive Edizioni, 2016).
“Capita di essere segnato nella vita o lo si è sempre”, è questo l’incipit spiazzante e intenso di un prezioso e piccolo libro in cui mi sono imbattuto e da cui sono rimasto indissolubilmente segnato, appunto. Piccolo nelle fattezze, cinquanta pagine scarse con tutto il corredo editoriale di nota biografica e introduzione, ma ricchissimo di spunti e di prospettive. Non è un saggio “Il collaudatore di altalene“, ma qualcosa di più, tant’è che l’ho letto in un attimo come si beve un bicchier d’acqua senza respiro per far passare il singhiozzo.
Il libro di Roberto Marconi, edito da Affinità Elettive nel marzo 2016, riesce in pieno a trasformare un titolo in un testo. In che senso? Nel senso che un po’ come l’altalena, l’autore riesce a spaziare di qua e di là senza perdere l’equilibrio, a fare, simultaneamente, della biografia, dell’autobiografia, della saggistica, della critica, della filosofia. Il ritratto che ne esce fuori – di Jacopo in primis ma anche della poesia di Piersanti (e, indirettamente, dello stesso Marconi) – è struggente e perfetto nella sua asciuttezza. Da lettori se ne resta segnati, come segnata è la vita di Jacopo, giovane gigante, un ragazzone – “un ragazzo cresciuto” – affetto da autismo, e segnata risulta essere la vita dei suoi genitori, in particolare del padre, il poeta marchigiano Umberto Piersanti, così come segnata è la vita di Roberto Marconi che nell’autunno del 2007 si ritrovò catapultato nel lavoro di assisterlo.
Certamente Il collaudatore d’altalene è primariamente un diario intimo di quell’esperienza ma finisce poi per essere – con un magistrale scavo – una lettura programmatica del senso della ricerca letteraria e della poesia: “il linguaggio sembra essere ritornato alla prima infanzia, lingua della verità senza filtri. Una bocca di sillabe, versi, affermazioni essenziali e vitali” (pag. 20), e un prezioso studio critico della poesia di Umberto Piersanti, della sua esperienza di scrittura innervata dall’esperienza genitoriale – essere padre – e di un ragazzone autistico.
Avevo letto le raccolte Einaudi di Piersanti molto tempo fa, ho conosciuto Umberto come spettatore di qualche suo intervento dalle mie parti, ma sono incontri che risalgono ormai a 20 anni orsono. Non mi aveva colpito molto, anzi quel suo giocare con i doppi sensi in alcuni casi mi aveva un po’ irritato. Il libro di Marconi ne offre una prospettiva diversa e ne valorizza una poesia di per sé già importante.
Sapevo ma per brevi cenni di Jacopo, il testo di Marconi però non solo riesce a mettere in luce cosa significhi l’autismo per chi lo vive, (da figlio, da genitore, da educatore), ma anche e soprattutto a scendere nel fondo di questa condizione “altra” ma per questo non meno umana e piena di dignità – si legga a tal proposito il flusso di coscienza “quasi nessuno” nelle pagine 33–35, dove questa alterità, questo automatismo spiazzante, viene impersonato dal poeta-scrittore e fatto suo fino a incarnarsi nella pagina.
Non è un caso che l’altalena sia il simbolo prescelto, segno bellissimo del rapporto che ha l’autistico, (ma io credo che hanno tutti i figli), con il padre, (il genitore in generale); un avvicinarsi e un allontanarsi continui, una paura del padre che non ci sia ritorno dalla lontananza, questo dover, in ogni caso, lasciarlo andare; fidarsi come nelle fiabe perché lasciare andare è il pedale che permette il ritorno, il lieto fine, perché Jacopo ha bisogno del suo tempo suggestivo, così come il poeta dell’immaginazione, il lettore della fantasia che conduce nel remoto, nel lontano: “l’immaginazione è il luogo dei giochi proibiti. Il luogo della felicità, delle scoperte che fanno spavento, che stupiscono e che restano anche nei grandi, quando maturano una certa ricettività, sono quelle del “tempo più amato che si invola”. Anche l’attesa di Jacopo è incorniciata in un tempo suggestivo…”.
Così accade che questo libriccino intriso di poesia divenga indirettamente un piccolo manuale di come ci si debba rapportare con gli altri, non solo con l’autistico, ma con ogni persona che ha un suo spazio privato, lontanissimo da tutti, inaccessibile, e, implicitamente, ci avvisa che l’errore più grande che si può commettere è pensare di potervi accedere in qualche modo. Restare “sgomenti e appartati” è, con ogni probabilità, il rischio da correre nella relazione, ogni relazione, (genitoriale, educativa, affettiva), con l’altro da noi, un rischio calcolato, un rischio ammantato di fiducia e di possibilità che occorre concedere, occorre celebrare:
(…)
figlio che giri solo
nella giostra,
quegli altri la rifiutano
cosi antica e lenta,
ma il padre t’aspetta,
sgomento ed appartato
dietro il tronco,
che il tuo sorriso mite
t’accompagni
nel cerchio della giostra,
nella zattera dove stai
senza compagni
(da Umberto Piersanti, Nel tempo che precede, Einaudi, pag. 156-157)
Alessio Alessandrini
San Benedetto del Tronto, 25.11.2023