Memoria
di Umberto Piersanti
Le parole della poesia (Vallecchi, Roma, Firenze, 2023)
Di recente è nata una raffinata collana, curata da Isabella Leardini, di preziosi libretti, scritti da alcuni dei poeti più rappresentativi, chiamati a esprimersi su parole, a loro scelta, fondanti nel pensiero e nella letteratura. Umberto Piersanti, fedele alla sua poetica, ha scelto di soffermarsi sul termine memoria: parola di grande risonanza interiore.
La memoria è stata fin dall’antichità fonte di argomentazioni filosofiche e d’ispirazione poetica, inoltre, soprattutto nel periodo in cui la trasmissione era orale, veniva divinizzata e considerata la madre di tutte le arti, le Muse, che proteggevano la vita dal nulla e dall’oblio. Il vedere, infatti, come presente ciò che è passato ha la capacità di liberarci dal tempo e un po’ dalla morte, per sant’Agostino la memoria rappresentava il ventre stesso dell’anima.
Un intenso dialogo Piersanti istaura con i poeti, che fin dalla giovinezza sono stati alla base della sua formazione, ponendo a raffronto i suoi testi, si parva licet, come lui stesso scrive, con i loro.
Lo scritto, suddiviso in sei brevi sezioni (Poesia e memoria, Memoria mitica, Infanzia, Memoria involontaria e volontaria, Infanzia e giovinezza, La memoria una umana immortalità) inizia con una frase contenuta nel romanzo L’uomo delle Cesane pubblicato nel 1994 (ed. Camunia, Milano): “Una volta passati sogni e ricordi sono la stessa cosa”. Queste parole contengono una verità profonda: i ricordi non sono stabili, si modificano nel tempo, possono portare a cambiamenti profondi, influenzati dai vari processi emotivi. E questo vale soprattutto per la memoria privilegiata dei poeti. Come scrive Giacomo Leopardi i sogni e i ricordi possono essere inquieti e dolorosi, ma la memoria li addolcisce, li riverbera in una dimensione mitica. Per il grande Recanatese la rimembranza è essenziale nel sentimento poetico, volto alla ricerca del vago e dell’indefinito. Ma la memoria può essere anche recentissima, perché, spiega Umberto Piersanti, nel momento in cui ci si accinge a scrivere, il presente è già passato come nell’idillio leopardiano Alla luna.
Gli incipit di due poesie straordinarie, A Silvia di Giacomo Leopardi e La casa dei doganieri di Eugenio Montale, al di là di ogni differenza tematica e stilistica, sono stati fonte d’ ispirazione per il nostro poeta, che in Frammento lirico (La breve stagione ed. Ad libitum 1967), breve testo giovanile, in cui sono presenti già tutti i temi portanti della sua poetica, scrive: “Ricordi la casa perduta tra i greppi/ il sapore del fieno/L’immensa famiglia contadina?”
Il tempo magico dell’infanzia per Giacomo Leopardi può avvicinarsi, nota l’autore, al tempo differente, a quella ricerca di fuga dal tempo della cronaca, volta alla scoperta dell’amore e della bellezza. L’autore riporta due suoi testi importanti a questo riguardo: Primavera 68 (Il tempo differente, Sciascia 1974) e Viaggio (Il tempo differente, Sciascia 1974). Scrive l’autore nella poesia Viaggio: “L’amica ha occhi chiari/ adesso quasi tristi/ e gira, gira su sé stessa al centro della chiesa/ e guardarla m’è sufficiente”. L’arte e la bellezza hanno da sempre ispirato la vita e la scrittura di Umberto Piersanti anche nei periodi più duri della contestazione studentesca: “Estraneo all’anno/ di gente rovesciata nelle piazze/ dei giovani serrati/coi drappi rossi negli edifici/ fermo nell’Appennino remoto/ immemore del tempo/ sciolto dalla catena” (Primavera 68, Il tempo differente, ed Sciascia 1974).
L’adolescenza nella poetica di Leopardi, ricorda Piersanti, viene a rappresentare questo tempo mitizzato, quasi un’età dell’oro, non perché lo sia stata veramente, ma in quanto la speranza, il desiderio di fuga la nutrono. Meglio di chiunque altro il poeta di Recanati ha spiegato il fascino indefinito della memoria, che rende poetica ogni vicenda umana passata; talvolta , tuttavia, afferma Piersanti, la stessa non dà sempre luogo alla nostalgia, perché la sua forza è tale che una vicenda del passato può divenire il presente stesso: “e quel piatto ce l’hai accanto,/ senti l’odore/ e il fumo/sulla bocca,/ non c’è memoria/ che lo trasfiguri,/è vero, più vero/ di quest’ora presente/ e forestiera”(Scuola Media, da sezione inedita dei I luoghi persi, ed. Crocetti 2021).
“Ci sono poesie che entrano nella vita come un amore, un incontro, una vicenda straordinaria”, con queste parole Piersanti ci parla della grande influenza che su di lui ha avuto la poesia di Giosuè Carducci intitolata Davanti San Guido: quelle sassate contro i cipressi, gli rievocano le scorribande con gli amici, i giochi dell’infanzia: l’età più felice della vita, anche se forse mitizzata. Anche alcuni versi di Antonio Machado risuonano nella mente dell’autore, perché in questi riconosce la propria Erlebnis, in quanto parlano di fiori, di odori e della madre: “sì ti ricordo, sera allegra e chiara, / quasi di primavera, / sera sfiorita, quando mi portavi/ il fresco e buon profumo della menta, / e del fresco basilico, / che teneva mia madre nelle aiuole” Nella lirica Vegelia, scrive Piersanti: “vegelia, così chiamavi/ madre quel fiore/ dal calice allungato/ e dal profumo antico”(Campi d’ostinato amore. ed. La Nave di Teseo 2020).
L’aquilone di Giovanni Pascoli è un esempio di una memoria involontaria: se dimenticare è, infatti, un processo involontario, anche ricordare può esserlo, quando ciò avvenga inconsapevolmente. Nella splendida lirica pascoliana un fremito nuovo nel cielo, ancora invernale di Messina, trasporta il poeta in altro luogo e in altro tempo. Egli ritorna ad Urbino ventoso, con il ricordo, alla propria infanzia, ai giochi all’aperto, nello specifico a far volare l’aquilone insieme ad altri coetanei, rivede e risente le voci dei compagni del collegio dei Cappuccini, ma emerge in lui anche la dolorosa memoria della morte di un suo compagno: “Tu eri tutto biondo, io rammento:/ solo avevi del rosso nei ginocchi, /per quel nostro pregar sul pavimento”.
La poesia del Pascoli è stata un punto di riferimento essenziale per il nostro poeta, tanto che Carlo Bo, nella nota introduttiva alla prima edizione einaudiana de I luoghi persi, scrive: “Piersanti riscopre nelle pascoliane Cesane il mondo intero e compatto dell’anima poetica”.
La lirica L’aquilone è certamente per Piersanti un esempio di memoria involontaria, che verrà teorizzata compiutamente da Marcel Proust nella Recherche, il quale, in una delle pagine più alte della letteratura, analiticamente, ha spiegato come un ricordo può arrivare inaspettato, portandosi dietro la nostalgia di un mondo. Il nostro autore cita, come esempio di memoria involontaria, alcuni versi della sua poesia L’aquila della Wermacht (Campi d’ostinato amore, ed. La nave di Teseo 2020): “e quella sacca grigio-paglia/ con l’aquila della Wermacht/ stampigliata/ rimasta intatta/ negli anni e nei traslochi/inutile cercarla, / come e perché/ un soldato ce l’ha data?”.
Nella lirica I fiumi, Ungaretti ricorda volontariamente la propria vita e il mondo che lo circonda, rammentando i corsi d’acqua che l’hanno visto crescere, ed ora levigato come un sasso dall’Isonzo, vicino ai suoi sudici panni di guerra, si riconosce in una “docile fibra dell’universo”. Cerca in tal modo attraverso la memoria di ritrovare conforto dal dramma, che sta vivendo, Anche nel mondo poetico piersantiano c’è la volontà tenace di rievocare i momenti felici della propria esistenza, “fotogrammi d’una pellicola bruciata”, ma non manca il dolore improvviso che assale e oscura le nubi e la natura: “e venne il giorno cupo, / un giorno non come un altro/ della vita/ e la spagnara limpida/e compatta/ quell’azzurro lieve/ come l’aria/scomparve nelle tenebre/ oscurata” (Un giorno non come un altro della vita, ed. Nel folto dei sentieri, ed. Marcos y Marcos, 2015). Tuttavia, anche il dolore più intenso nel ricordo si stempera e trova nell’elegia e nell’idillio una forza consolatoria. C’è sempre in Umberto Piersanti la ricerca di Eden perduto, il desiderio di mitizzare le memorie, le persone scomparse, la sua giovinezza, i luoghi dove ha vissuto ed anche il figlio Jacopo, gravemente malato di autismo, che, nei versi del padre, diviene un essere speciale, “meravigliosamente diverso”: “fluttuano i tuoi capelli/ come al fauno;/fauno-fanciullo mite/ e innocente” (Jacopo nell’acqua , Nel tempo che precede, ed Einaudi 2002).
Da I luoghi persi il viaggio poetico di Umberto Piersanti si fa memoria, ricordo di una civiltà contadina ormai smarrita per sempre, di un mondo mitico popolato, grazie anche alla tradizione orale, ormai scomparsa, di folletti e fate, che mai ha abbandonato l’anima del poeta, in cui rivive in una dimensione magico-onirica. E i ricordi dell’infanzia e della giovinezza si fanno sempre più intensi e vividi con il passare degli anni. Nella recente raccolta Campi d’ostinato amore, è presente la memoria della guerra, i fischi neri dei bombardamenti, la paura, ma a rassicurarlo c’è la presenza dei genitori che lo stringono a sé: “nel nero smisurato/ che t’avvolge/ e fascia/ fin dentro il sangue/ t’entra il fischio nero, /tu piangi ma non sai, // t’hanno accolto nel mezzo/ padre e madre, / tu dormi/ e più non senti/ il fischio nero”. Scrive il nostro autore nel testo: “Certo la memoria trasforma cose e vicende. Tende a scartare o attenuare quelle negative, ma io penso che ci fosse un fondo di pienezza che la memoria esalta ma non inventa. C’era un mondo intero attorno, le bombe e la guerra non potevano intaccarlo, la madre e il padre ti dormivano accanto.”
Altri grandi poeti, ricorda ancora Piersanti, hanno rimpianto nei loro versi la fine della giovinezza e dell’infanzia: Umberto Saba e Attilio Bertolucci.
L’ultimo capitoletto del saggio s’intitola: La memoria: un’umana immortalità.
L’autore in queste pagine distingue la memoria collettiva, da quella personale: la grande ricchezza dell’uomo, scrive, è stata l’invenzione della scrittura, che ha permesso di tramandare la memoria collettiva, arricchita anche da quella orale. Solo attraverso la scrittura, infatti, si possono conoscere i grandi avvenimenti della storia, e comprendere, anche attraverso soltanto una lirica ellenica, il modo di percepire la realtà, la sensibilità che permeava un’intera epoca. Nella storia della poesia italiana il più grande carme dedicato alla memoria collettiva sono I sepolcri di Ugo Foscolo. Ma non meno importante, sottolinea Piersanti, è la memoria individuale dei singoli poeti, che contiene “un’immortalità precisa”. E la memoria privilegiata dei poeti sembra essere quella dell’infanzia. Scrive l’autore: “L’infanzia diventa sempre più presente con il passare degli anni, acquista un valore, che supera la stessa poesia, direi che è un’ancora vitale, un sostegno fermo nella bufera dei giorni. La memoria trasforma il passato, sfuma i suoi contorni, esalta le luci: allora l’infanzia diventa quell’altrove che molti poeti hanno da sempre ricercato con ancora più intensità dai primi del Novecento in poi”.
In questo viaggio attraverso l’analisi del termine memoria (per il poeta marchigiano è l’unica possibile immortalità per l’uomo, sia essa individuale che collettiva), così ricco di pregnanza simbolica e storico culturale, Umberto Piersanti ci conduce per mano nel suo mondo interiore, lo sguardo sempre rivolto ad un passato mitizzato, che mai trascolora, e alla natura che non cessa di sorprenderci nei colori e nello scorrere delle stagioni.
Raffaella Bettiol