Gian Mario Villalta – Dove sono gli anni (Garzanti, 2022)
di Tiziano Broggiato
È necessario conoscere l’opera precedente di Gian Mario Villalta per poter cogliere pienamente la complessa struttura della sua nuova raccolta, Dove sono gli anni (Garzanti, 2022), che a mio avviso fissa l’apice della sua dimensione poetica. È necessario per comprendere e condividere un’evoluzioni stilistica che ha la sua testa di ponte in Vanità della mente (Mondadori, 2011), libro nel quale si è evidenziato un dettato “in transito”, tra buio e luce per tendersi poi via, via in un’astrazione guidata che sollecita una rilettura, una doverosa, accurata riflessione su temi improntati quasi interamente nel segno della conflittualità e della susseguente, necessaria riappacificazione.
Nella poesia di Villalta si coglie infatti la pronuncia di uno stile mediano inteso a definire le molte scansioni di una vicenda esistenziale in un movimento quasi a sistole e diastole, tra uno spazio chiuso nella memoria e l’espansione verso l’esterno. E in questi testi si colloca il centro di gravità figurale e al contempo astratto, concettuale. Tra una verità solo apparentemente tangibile e frammenti di immagine in una sorta di visione onirica della realtà. In questo contesto, che scivola dalla vita fino alla letteratura, c’è un tratteggio che magari in forma attenuata, va a collegarsi con gli echi dell’ansia di Montale, mentre il biancore aspro di alcune immagini propone inequivocabili accenti alla Celan. Un moto che va a incrociarsi con la spinta di un silenzio che preme verso l’esterno, quasi che le pagine del testo poetico siano il teatro di una lenta, rimandata partenza. Perché la sua poesia interviene su stadi topici del vissuto individuale e collettivo drammatizzandoli e dando loro vita per raccogliere questi emblemi come parte di un autentico museo silenzioso.
I connubi, i richiami da questa a precedenti raccolte sono molteplici: perché infatti mi sorprendo ad accostare, leggendo la breve, ma appassionata suite che Villalta dedica all’amico Mario Benedetti, morto di covid 19 nel marzo 2020, a un’altra, intensa poesia da Vanità della mente che principia: Sanno di cenere le labbra e sabbia… e la dolce, felicissima serie La figlia che dice che è felice da Telepatia non mi è subitamente richiamata leggendo Non c’è notte che il cuore che dorme a pagina 141 di questo nuovo libro di vivida poesia?
Alla fine, quel che si avverte inequivocabilmente, alla vista e alla mente, è una linea di non ritorno a cui la poesia di Dove sono gli anni tende ad avvicinarsi.
Perché Villalta è poeta che si mette sempre al centro della sua opera, facendoci vedere l’anima:
La vita che esplode dal disciogliersi
dei ghiacci e ci minaccia
è la stessa che sogna il paradiso nella lingua mortale.
Nascere è animale, e umano con la memoria
e la parola diventare quell’io che vuole sapere
perché. Un senso da noi, i mortali, imposto
dentro il fluire-margine
del tempo, che la generazione incessante
di quanta è tutta la vivente
terra ignora,
come ignora la morte,
perché resiste su questo pianeta
ciò che muta e mutando esiste.
Nascere è metamorfosi, e appare
la morte come l’ultimo mutare, ma non è,
non cessa la vita quando si dissolve
l’io che si dice nella voce.
Si rivolta contro
Se stessa la mente, da quando – costretta – ammette
che alla vita sulla terra non importa il suo amore,
e sempre è stata contro natura, la natura
da li pensata, e spaventati
se ne sono scappati via gli dèi, già allora.