Pelagos Letteratura. Rivista diretta da Umberto Piersanti
Sogni e risvegli
(Amos Edizioni /A27 poesia 2021, Novara)
Fabrizio Bajec, poeta e drammaturgo italo-francese, traduttore e autotraduttore, è una voce sicuramente di rilievo nell’ambito della nuova poesia. L’autore si è da sempre caratterizzato per profonda adesione alle problematiche sociali, che lo spinto a denunciare le ingiustizie e le disuguaglianze delle classi più disagiate della società contemporanea. Per lui la scrittura, come affermava nel Blog Rai di Luigia Sorrentino del’8 marzo 2020, può essere un atto di resistenza, simile a quello di formare una catena umana intorno ad una piazza, per proteggere un bene comune o bloccare un’attività pericolosa per l’ambiente. Le parole insomma devono diventare testimoni e voci del nostro tempo.
Con un singolare cambio di rotta, nella sua più recente raccolta di poesie Sogni e risvegli (ed. Amos /A27 poesia 2021, Novara) Bajec sembra ricercare una diversa lettura del proprio ego e del mondo che lo circonda, per ritrovare finalmente una quiete interiore.
Il libro, dedicato alla figlia Arielle, quale esergo propone una frase tratta dall’Etica Nicomachea di Aristotele “Se si toglie a un essere umano il potere di agire e, ancor più, quello di creare, cosa gli rimane oltre la contemplazione”. Questo incipit ci porta a riflettere sull’influenza che ha avuto ed ha la dottrina Zen sullo scrittore: la meditazione interiore ha la capacità, infatti, di far superare la realtà e il piano materiale per accedere ad un livello di conoscenza più alto e spirituale, in modo che l’uomo possa scoprire sé stesso come inseparabile dal cosmo, inteso come un tutto nei suoi aspetti sia positivi sia negativi. Avviene uno svuotamento del proprio ego, che fa sì che si affrontino diversamente le problematiche fondanti dell’esperienza umana e si raggiunga un equilibrio interiore capace di condurci ad un risveglio spirituale. Secondo l’insegnamento buddista, vita e morte sono due fasi di un “continuum” in cui la vita non inizia con la nascita né finisce con la morte. Anche le esistenze individuali fanno parte di questo grande ritmo cosmico. Scrive l’autore in un testo intitolato Su una poesia cinese del VI secolo: “i morti attraggono i vivi/che soccombono a loro volta/ raggiunti dai figli/ dopo aver lasciato i loro gusci/ promessi alla stessa distruzione chimica/ ma anche al ritorno”.
La raccolta si suddivide in sei parti, ognuna delle quali è a sua volta numerata: Spettri, Nascita e contemplazione, Cronache di un’infanzia rurale, Quaderno messicano, Poema della fame e Un’altra vita.
Nella poesia Frontiera, che apre la prima sezione, il poeta sembra smarrito, quasi spaesato di fronte al dilemma d’una scelta esistenziale diversa, che, attraverso una nuova percezione della realtà, lo conduca ad una visione altra del proprio essere e del mondo che lo circonda: “al di sotto io approfitto/ ancora per poco del territorio / da cui mi distacco a malincuore/ sperando di dormire e non sapere più niente/ di questo tutto che è anche mio”. In un rimando di sogni e risvegli Spettri ci suggerisce già alcune delle tematiche che saranno presenti nelle successive sezioni. Emergono, infatti, i ricordi, tra i quali, nella poesia Pasto frugale, quello della nonna, che si accontentava di “una ciotola di grano schiacciato/ la tenerezza del formaggio/ mischiato ai fiocchi di porro”. Assume inoltre rilievo la figura della figlia in Prima dell’alba, perché sono sufficienti dei cocci di conchiglia sparsi nel letto per fa rivivere ad Arielle e al padre la gioia del mare vissuto assieme l’anno prima.
Il pensiero Zen già segna alcuni testi, altri, invece, sono legati alla lettura di poesie, emblematica a questo riguardo è quella ispirata da Valerio Magrelli: “ho la testa piena di feci/servizi notizie ipotesi d’aggressione” …e oltre “vorrei tanto ripulirmi isolarmi in un bosco/ seduto per terra aspettare/ la grande pioggia sulle foglie”. Nella seconda parte Nascita e Contemplazione ha un ruolo fondamentale la figlia, che sarà la prima persona perché “il bambino è poeta a due anni”e “al padre non resta che trascrivere un’opera orale.” In questa sezione si avverte la profonda tenerezza dell’autore per la figlia, nata da poco più di un anno, che teme le garguglie alate e gli alti muri bianchi di un una chiesa abaziale.
In Cronache di un’infanzia rurale Bajec rivive, attualizzandoli, alcuni episodi della sua infanzia in Egitto: “del giardino temo i calabroni rotanti, perciò, stringo/ una grossa girandola su una macchina gialla a pedali”.
Il linguaggio dell’autore, talora molto crudo, privo apparentemente di ogni forma di riferimento, si caratterizza spesso per l’impiego di versi lunghi, che si avvicinan0 alla prosa, in cui l’abbassamento del livello semantico li rende il più possibile oggettivi, vicini alla parlata quotidiana, anche se l’assenza di segni di interpunzione e il ricorso all’analogia, talvolta, non facilita l’esatta comprensione di un testo.
In Quaderno messicano il discorso poetico si apre al ricordo di un viaggio in quel Paese: immagine vivide segnano i luoghi visitati dal nostro autore: Tepoztlan, Puerto Vallarta, il villaggio di Sangre de Cristo di cui nota: “Una corona di spine lo attraversa da un punto all’altro/ e grava sugli uomini e sui cani randagi/il Cristo appare sopra i muri delle abitazioni/ in rosso e nero”.
Dai toni molto intensi risultano le due poesie che Fabrizio Bajec ha dedicato a tele di Diego Rivera, conservate a Città del Messico nella Fondazione Dolores Olmedo. In questa breve sezione della raccolta è già presente il motivo civile che trova piena realizzazione nel Poema della fame.
Composto per la rivolta dei gilet gialli, il poema non risulta soltanto il riflesso dell’esperienza, ma diviene attivo perché dà forma alla stessa, rende riconoscibile la sua unicità. Bajet, da esperto drammaturgo, sa tradurre nei versi, con intensa drammaticità dialogante e dinamismo lessicale, quei tragici momenti di lotta sociale, che non possono non evocare la Comune di Parigi.
Quasi in contrapposizione alla forza e alle dinamiche di questo poema di lotta civile, l’ultima parte del libro, intitolata Un’altra via, ci rivela, invece, un autore, che spogliato della propria individualità, ora “vive in pace “su di una sedia di legno/ben nascosto in fondo al giardinetto”, sentendosi parte di un tutto che lo circonda. E nel testo Uccelli, con uno sguardo attento alla natura, il poeta italo francese scrive: “Se potessi stabilirmi vicino a voialtri/ gentili uccelli grigi dei nostri giardini/ che beccano all’ombra delle feci/ qualche infimo alimento/ non farei nulla di molto diverso/ insegnatemi con abili manovre/ quest’arte che non ha bisogno/ di luce né delle lodi dei miei pari”.
Certamente quest’ultima parte del libro, ci consegna un poeta, che ha saputo raggiungere, attraverso un’attenta speculazione interiore, un nuovo risveglio umano e creaturale.
Raffaella Bettiol