La poesia Finché splendi Amore di Anna Buoninsegni
A Cinzia e a me, comunque
Cosa può fare la poesia! Ad esempio ripristinare la macchina del tempo, così ci si trova da chissà quale parte dello spazio e condividiamo una storia, la storia, d’incontri importanti, date memorabili, fatti rilevanti e altro. La poesia come un novello Frankenstein fa ritornare in vita chi si ama, ricama il suo corpo ancora di passione e ragione. La morte ci dà frasi convenzionali che è meglio tacere, scriverne in poesia resta difficile come farlo quando si tratta di amore. Sappiamo, appunto, che la poesia d’amore è la più complicata perché si può risolvere in poeticismi stucchevoli, quindi in cose già sentite, dall’altra parte in molti si sono cimentati con il caro defunto (Montale docet), magari riservando attenzioni particolari che in vita erano superficialmente sottintese. Credo che stentatamente si è preparati alla morte di una persona cara, per chi crede se la prende con Iddio, ma lui non è onnipotente al più accoglie e forse invalida gli esiti mortali. Personalmente non mi importa che c’è al di là della vita, quanto mi interessa vivere pienamente questa, scandagliando i suoi misteri e le sue qualità, e chi mi muore mi sta accanto comunque, non come fantasma ma come una potenza dell’amore, di quando era in carne (Maggi docet).
Anna Buoninsegni inizia la sua scrittura forse proprio quando il dolore “che chiamo terra e casa” è maturato, ha la necessità di piantarlo sulla pagina per farlo germogliare, perché da “fresca cicatrice” che “ha iniziato a fiorire” dà succhi a chi legge, così da condividere con tutti noi, appunto, che spaginiamo, che lo accarezziamo, questo amplesso.
La penna, il tasto, va a toccare lì magari dove il pensiero si fa più forte, dove forse c’era una lettera d’amore, chissà quante volte un cassetto l’ha custodita, o forse un oggetto che fa rammentare la persona che si ama, continuamente (non metterei mai ‘amata’, in questo caso, perché appunto rimane nell’amore e non ‘amante’ poiché quest’altri non è capace di vivere ogni giorno con chi ama se non in superficie, pur usufruendo dei benefici di una illusoria ragione), anche fosse solo un viaggio “travaso di dimora” con il suo uomo: la radice resta la stessa. Si è visto come in un bosco anche se c’è distanza tra gli alberi sottoterra le diramazioni s’intrecciano.
La scrittura è un potente farmaco (nonostante bisogna stare attenti al suo velenoso etimo) ci trasporta con “metodiche allo sfinimento” e chissà da quale parte dell’universo si arriva: Marte è una bazzecola. Eccoci allora, ad esempio, in pochi secondi e centimetri in Marocco nel “cimitero mussulmano di Rabat”, Anna non nasconde la morte corporale di chi ama ma la sospende, la riesuma, lo chiama, con un lungo respiro, che spesso solo la poesia detiene.
La lingua di questa poetessa si distende, plana sul “fragore odoroso dell’oceano / la bianca discesa di tombe nude / senza fiori”. Questa ultima raccolta di poesie “Finché splendi Amore” (per la collana viola delle edizioni “Le farfalle”, 2018) si fa strada nel ‘900, tra i capolavori di Ungaretti e Montale, perché no, soprattutto di quest’ultimo come non si può ricordarlo in “Xenia”, che peraltro ho potuto assaporare in originale nella Pinacoteca di San Severino Marche, grazie alla prima edizione stampata dalla locale tipografia dei Bellabarba.
Anna non sembra affranta, disperata, il suo Amore non è stato una scappatella, ma “materia” “corpo” con le iniziali maiuscole, “cresciuto in quel modo di vivere / che tiene unito il perché del mondo” ed è anche, addirittura, “partitura di fisica” “entità assoluta”. Anche negli eventi e personaggi dei nostri libri, che l’autrice elenca, come con la caduta di Troia per mano degli Achei, l’invenzione del telefono, Meucci, Garibaldi, gli evasi Frank Morris, John e Clarence Anglin da Alcatraz, Berlinguer, Cousteau, Alvaro, colpisce sempre lo sprigionarsi di forze misteriose che ritroviamo in poesia, ecco una precisa domanda: in quale fase di quelle vite citate si trovava il suo uomo?
Anna cerca il segreto che lenisce, tra le feritoie delle parole sulla pagina, una mancanza fisica, ma le bende pongono ombra e anche “la luce ha questo male / ti mette in oscurità” “e non riusciamo a vedere” che solo un poco, uno “sfioro del tuo viso appena che / converte il sonno in buonanotte”, soltanto questo ci è dato da contemplare. La vita è una contraddizione tra il dettato e il silenzio, tra ciò che si vede e l’invisibile, come sono certi sentimenti. E la poesia è maestra per capire l’esperienza e la fatica di vivere (Pavese docet): si prende un foglio (se va bene per l’editore… una pagina) e si fa affiorare ciò che non si sa, ma che da qualche parte (dell’anima?) sta, quella lotta, tra l’amore e la morte, e che si chiama esistenza, al più, vita.
*
(come sei nuovo nell’impazienza)
come sei nuovo nell’impazienza
del mondo lasciato dietro te
con dentro me che sbatto
tra pareti di vetro
per questo essere nascita ogni giorno
ricordati che il fiordo
comanda
all’oceano lo stringersi
per entrare nella soglia
combatto l’istante
mi vengono incontro i maestri abbandonati
finalmente capisco cosa sto dimenticando
prima di leggere ancora su quel libro chiuso
la parola destino
non sono stata risparmiata
dall’ombra scontrosa
del mio grembo
per come lo hai guidato
come lo hai reso trasparente e necessario
*
(spengo e accendo)
spengo e accendo
le luci di casa
sollevo e abbasso le tapparelle
nelle stanze dove tutto sei tu
dove impregni spazi tra sedie e divani
appoggi
dell’amore che chiamiamo morto
sei un cadavere resistente
ti tengo in vita
ad allattarti alla cieca
con il bianco degli occhi
sono caduta per prima
per non vedere la tua testa di lupo
rotolarmi nell’incavo delle braccia
La via crucis resta evidente, anche per Anna. Il dolore nessuno ce lo può togliere, all’inizio è terribile, lacerante, non c’è 118 che tenga, un male da non controllare, non sapevi che da qualche parte sbucava fuori una falla, una fitta che infetta; la dolenza confonde come un pensiero che ti ha sfiorato, è come “la tua mano così bella di carezze” che “inizia a sfiorire in un astuccio disossato”, è come “le labbra” che “perdono il filo” e “non mi respirano più”. Ma la disperazione la possiamo combattere, chissà occupando i pensieri come doni inaspettati verso gli altri o scrivendo certe parole ispirate dentro a chi vorrà accoglierle nella lettura. Le due azioni si somigliano. L’oggetto dell’amore sfugge “non è più qui ma ovunque”, quindi è presente anche quando non c’è, il fuoco è pieno nel presente. Rifare l’amore propizia il respiro. L’alito di un bacio.
Il nostro corpo descrive il passaggio di consegne non nelle apparenze ma nei suoi talenti. Anna allora in questa nuova condizione è il “ponte di pietra” da cui passa il suo uomo, “pietra muta di te / amore mio”. Quanto queste due ultime parole, un sostantivo e un aggettivo, non suonano per nulla scontate, in questa doppia acrobazia, senza telo di separazione, che Anna esegue davanti a tutti, scrivendo al contempo poesie d’amore e di morte. Il passato è presente atteso. E una grave mancanza ti accompagna anche sul margine della pazzia, Anna all’opposto pare percorrere, con i suoi versi all’apparenza compiuti nel respiro, una forma di misticismo.
Si conclude il viaggio mai finito come in questo potente libricino, con il Responsorio, una specie di soliloquio a due, quello che non si è detto ed esce da solo inaspettatamente, come quando Dante va a rivedere le stelle “finché splendi amore”.
Nell’ultima pagina non ci sono versi ma il tenero silenzioso disegno di una nuda carezza che caratterizza i due protagonisti di questa opera, moglie e marito ossia una donna e un uomo.
Buona contemplazione.
Roberto Marconi
Dalla dedica iniziale fino alla fine, ho sentito battermi dentro la partecipazione umana a un dialogo poetico aperto, condivisibile. E le parole di Anna si travasano nel sentire di Roberto, che ci offre la sua lettura che diventa la nostra. Anch’io sto con Alberto Maggi, (anche con Annick de Souzenelle) che, come si deve, interpreta simbolicamente e teologicamente ma soprattutto per il bene dell’uomo e non di Dio (che non ne ha bisogno), e non brutalizza primitivamente, i testi sacri, anch’io sospesa tra i morti in vita sempre, il dolore e la gioia alternati sempre. La ricerca di bende salutari sempre, di farmaci da assumere, con attenzione al doppio etimo sempre. Anch’io. E ho gustato tutta la lettura, dicendomi che spesso le persone più trasparenti e che scendono in secondo piano sono ricche fonti al momento opportuno. E sono grata di sentirmi piccola davanti a questa tua e sua lingua così ricca, grata del groppo in gola che a volte mi assale e mi ingorga fino al petto quando il dolore e la paura si sciolgono trovando compagni più grandi, autentici, che sanno aspettare e accogliere i piccoli, quelli che come me un po’ si travestono, sapendolo, per riempire un vuoto persistente. Ma lo si sa, lo si per-dona e questo mi toglie la vergogna. E mi porto in questa comunità di ascolto, lasciandomi guidare anche dalle insicurezze altrui che celebrando insieme si fanno a volte poesia, abbracciandomi e abbracciando virtualmente chi si offre agli altri con il suo humus e il suo pudore. Bello, grazie.