Le città dell’anima. I luoghi dei poeti

AA.VV. Le città dell’anima. I luoghi dei poeti. Pellegrini editore, Cosenza 2016

Sedici voci, tra le più autorevoli oggi in Italia, raccontano la loro Patria poetica in questo libro, a cura di Tiziano Broggiato, ricco di immagini, profondo, aperto ad una lingua di poesia autentica ed originale.
Qual è il luogo, la città dell’anima? Cosa genera continuamente? In quale rapporto si pone con i sensi, la fantasia, il corpo del poeta?
Non si tratta solo del luogo della memoria trasmessa da testimonianze e ricordi, o del riconoscere il passato che resta nei posti, nei gesti, nelle parole comuni.

La città dell’anima sembra essere qualcosa di più: un Altrove, cioè uno spazio, un tempo sospeso, quasi indefinito, fatto di apparizioni, ritorni, sogni, ma anche di presente, di smarrimenti dolci e malinconici, la  Bolla dove il perdersi diventa in fondo un fugace ri-crearsi e ri-trovarsi.

“L’erba sui tetti vecchi, il sorgo sulla riva di un fosso, la ciabatta argentata infilata su un paletto a fare da spaventapasseri in un minuscolo orto, l’asiatico che ride da solo mentre scende le scale verso il parcheggio… sono questi i segnali di un altrove che mi richiama all’origine” scrive Gian Mario Villalta nel suo intervento.
Parla di crisi dell’età contemporanea, dell’inquietudine che proviene dal percepire un luogo altro e un diverso tempo invadere il qui e l’ora.
Parla di Visinale, della campagna post-bellica e del dialetto friulano, di Pordenone, della trasformazione industriale, della lingua italiana e della scrittura; quella scrittura e quella lingua italiana che sono state per lui “l’accesso a un mondo meraviglioso dove reinventare la realtà e soprattutto costruire un tempo diverso… la via d’accesso a quell’altrove dove cerano l’amore e la felicità”. E ancora: “È forse la scrittura il vero luogo in cui tutte le ipotesi possibili, i sentimenti, le emozioni, vengono convocati, in relazione a una forma che ha la capacità di produrre insieme il reale e l’immaginario, che si identifica con il presente del mio respiro”.

Stefano Simoncelli scrive di Cesenatico, Cesena, Bologna come patrie della sua formazione nei primi anni ’70, della rivista Sul porto come officina culturale ma in sostanza anche lui identifica nella scrittura, in particolare nella poesia, la vera fonte magica e insostituibile: “Ho imparato che la vita può colpire pesantemente e a tradimento o fare splendidi regali nel momento in cui sei meno preparato a subire o a ricevere. Così lascio sempre aperta una fessura dalla quale… di rado… purtroppo entra di straforo l’aspetto più vero della mia poesia e allora faccio festa. Forse è questo spiraglio infinitesimale la mia città dell’anima”.

Angelo Scandurra ci porta alle pendici dell’Etna.
Da  Aci S. Antonio, la città del carretto siciliano dipinto dai pittori che immortalavano nelle ruote e nelle sponde le gesta dei paladini di Francia o i personaggi della Cavallerie rusticana di Verga, ai faraglioni di Aci Trezza scagliati da Polifemo contro Ulisse e i suoi compagni, dal barocco di Catania ai suoi storici palazzi.
“Non è sapore nostalgico né tantomeno ritorno al passato, quanto piuttosto la divaricazione tra umano e natura che ci annulla sempre di più nella nebbia dell’omologazione… per cui il nostro esistere è il luogo dell’anima senza confini, con i pensieri che si tramutano in azione. Oramai ammiriamo i residui di un’epoca che ci sorprende, ci affascina, ci avvinghia come qualcosa di irripetibile e inarrivabile”.

Splendida, poeticamente vivace ed informale la testimonianza di Davide Rondoni, il quale rende omaggio ad una Forlì vista come “una ragazza che non ha mai imparato a vestirsi e che se ne frega… un fagocero seduto in mezzo ad animali carucci e presentabili (Faenza e Ravenna)”.
Forlì città con gli accenti, governata nel ‘400 da una Caterina Sforza raffinata e combattiva, popolata da preti geniali, Forlì che sa trarre lezioni di vita, dalla morte e dal dolore, capace di non chinare la testa davanti a niente ma sempre rispettosa di tradizioni alte e popolari.
“Forlì è un bar senza troppa eleganza ma che non lascia fuori nessuno… fanne quel che ti pare, basta che non rompi”.

Tanto alto e rigoroso lo stile quanto ancestrale e meravigliata l’anima che la prosa lirica di Umberto Piersanti racconta.
Urbino, perfetta compenetrazione e mirabile armonia tra città e campagna è la città dell’anima, il centro dove il dolore e la sofferenza ma anche la gioia e l’estasi vengono “compresi in un disegno di armonia e salvezza prima ancora umana che trascendente”.
In particolare il Palazzo ducale e le Cesane rappresentano l’espressione più alta della pienezza di vita, dell’armonia tra terra e cielo, tra l’opera dell’uomo e la Natura.
Urbino, scrive Piersanti “è l’unica città rinascimentale dove la dimensione orizzontale e geometrica s’incontra con un’altra verticale e fiabesca”. Ecco allora che spiccano nel testo i puntuali riferimenti storico-architettonici insieme ai miti della tradizione popolare e contadina (lo sprovinglo, la biscia), dentro un abile e misurato tono elegiaco che celebra il ricordo e la memoria come “il filo poetico che ricostruisce la pienezza e il senso del luogo e del tempo”.

Con una scrittura elegante e raffinata Loretto Rafanelli racconta di una Porretta d’altri tempi: attraverso un “ritorno da dove non si è mai partiti” ci regala meravigliose immagini del fiume Reno, della ferrovia porrettana, forse la più bella linea storica in Italia, del festival del cinema, delle Terme, della fabbrica Demm, la moto che vinceva in tutta Italia.
“Questo spazio è un respiro che non mi abbandona… c’è tutta intera la mia memoria, che incide, che incalza la mia scrittura”.

Sono invece le Terrains Vagues, le terre indefinite, devastate e in movimento, le città dell’anima di Fabio Pusterla, che scrive del sentimento dei Margini nella Megalopoli, lo spazio geografico tra Torino e l’Adriatico, Lugano compreso.
Celebra la “terra di mezzo”, né urbana né selvaggia, piuttosto “zona travolta su cui può nascere qualcosa di imprevedibile, il luogo dei mostri e degli angeli e della speranza che posso trovare ancora in me… in una casa precaria e minacciata”.
Sono i luoghi delle apparizioni, come quella del Rosso, il contrabbandiere sopra Cernobbio o come la moneta del ’19 trovata nella casa di campagna sul lago di Lugano, i posti dove “il passato torna a dialogare con il presente, il mondo torna più complesso e il paesaggio diventa teatro di qualcosa di grande” .

I luoghi dell’anima di Giuseppe Pontiggia sono le città che abbiamo amato.
“La mia poesia è nata tutta qui. Milano è una città di vaste solitudini dove a certe ore i tram risultano quasi deserti… con quelle luci discrete ed eleganti che si illuminano di primo mattino, o nella pace di un pomeriggio d’inverno, quando le nubi sembrano premere ai vetri e dirci qualcosa che avevamo dimenticato”.

Secondo Roberto Mussapi il legame con la condizione sociale, culturale e genetica della città interagisce con l’intreccio della memoria e delle affinità. Cuneo, Genova e Venezia le sue città: le prime legate alla figura paterna, all’infanzia e al tema del viaggio e del mare, la laguna, invece, luogo di luce, tenebra e poesia.

Particolare il rapporto di odio-amore di Valerio Magrelli con Roma, verso la quale esprime disgusto e indignazione: “Necropoli e garage, carogna e hangar… Roma oste ma anche Roma stomaco, grande corpo digerente e defecatorio”.

Vivian Lamarque scrive di una Milano fuori tema che potrebbe essere Napoli e i presepi di S. Gragorio Armeno.

Antonio De Mauro celebra il borgo natio alle porte di Catania, Roma, Milano, città dove “l’anima che aspirava alla poesia, ne avvertì palpabile la presenza, qui sperimentò il prodigio, semplicemente umano, di come la realtà in sé e per sé può farsi poesia, diventandone corpo”.

La città è Roma, la rivista è Braci, gli anni ’80. Questo è il fatto ideale che resta e si rinnova nel ricordo secondo Claudio Damiani. La Roma antica, sotterranea e sepolta. “La Roma di quelle mura che vidi per prime, pochi sassi anneriti e polverosi… leggevo avidamente la poesia latina, mi innamoravo in modo totale e definitivo di lei. I grandi elegiaci, Properzio, Catullo e Tibullo e i due giganti contemporanei e amici, Orazio e Virgilio.., il rinascimento dell’uomo reale e positivo nel mondo, in relazione con gli altri uomini, con la natura e con il cielo”.

Per Rosita Copioli il tempo, o meglio quello che chiamiamo progresso, condanna gli spazi, dunque l’anima. “I colori marini di Riccione si confondevano con l’aria, l’orizzonte e il cielo, nel trascolorare lieve di azzurri e celesti, di malva e di grigi, di acquemarine e di verdi… oggi zelanti bagnini salvataggio ti inseguono mentre nuoti placidamente in un risibile mare in burrasca mentre l’unico tuo pericolo è la discesa dei coli, dei batteri, dei nitrati dai fiumi a dalle fogne aperte dopo le piogge”. Ancora: “Ciò che si cancella oggi è l’aria di grandezza, di libertà, la dolce prospettiva del nostro paesaggio, il solo al mondo dove, nella luce unica che possiede l’Italia un equilibrio meraviglioso ha tenuto insieme la cattedrale, il palazzo, la villa e il bosco, il fiume e il piccolo lago di collina, le ville, gli oliveti e gli orti, senza fonderli ma facendoli apparire come una sola unità”.

“Ho sempre sognato un altrove”. Scrive Anna Buoninsegni.
Coincide con la vita, con la poesia, il suo desiderio di uno scorcio “che si preveda abitabile, dove estendere pensieri e desideri”, che snodi le contraddizioni e che annulli il rapporto problematico con la sua Gubbio.
Città “dal volto tanto scuro e tagliente, notturno e inospitale quanto diurno e primaverile, che si scioglie in una città fidanzata ai tramonti quasi sussurrati… è il mio andirivieni tra due latitudini così diverse, senza potermi riconoscermi in una grammatica di luoghi tutti miei; perché la visione della memoria e del ricordo non coincidono e provocano una diplopia che affligge costantemente la mia vita”.

Si chiede Giuseppe Conte: “Ho sempre viaggiato dalla Liguria a Milano e poi a Torino, in seguito per tutta l’Europa e per gli altri continenti. Ma allora perché, richiesto di parlare della mia città dell’anima, mi ritrovo a parlare di questo paese inerte, che è il mio passato, fonte di malinconia quasi soffocante?… Se l’anima è quell’energia interna a noi che ci permette di cogliere e confrontare simboli, ecco che la mia anima si muove ancora tra le stanze di via Carducci 3, tra le vie di Porto Maurizio dove si è imbattuta per la prima volta in una impressionante catena di simboli che ne hanno segnato la formazione… Tra atlanti, costellazioni, finzioni, avventure, teatro, dio, la mia anima da bambino si aggirava impaurita alternando momenti di angoscia e momenti di perfetta felicità. Intanto disegnava i suoi contorni, si rimpolpava, metteva legna da ardere da parte, che avrei ritrovato senza ricordare neppure di averla molto più tardi”.

Le città dell’anima, per concludere, è uno spazio ritrovato, un tempo che di nuovo cade addosso. Lo sguardo poetico dell’uomo si trova in qualche modo nell’obbligo e  sente la responsabilità di ri-creare tale luogo nella scrittura perché, come dice Tiziano Broggiato nella breve ma esaustiva introduzione: “ci sono luoghi che aspettano, con una loro inquieta gioia, di essere nominati… se questo venisse meno, verrebbe meno anche la sorgente che tiene in vita la poesia”.

Antonio Malagrida

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