Luigi Fontanella
L’adolescenza e la notte
prefazione di Paolo Lagazzi
Passigli Poesia, 2015
di Rossella Frollà
«Non sono mai entrato nella vita./[…]Ma mi commuovo/per un nonnulla, l’adolescenza/è assoluta ed eterna./È l’unica cosa che resta.». Aprono l’anima le parole prigioniere delle tante storie come fosse l’ultimo giorno ed è l’assalto più tenero al giorno nel suo presente e al mio cuore. Una gioia si muove orizzontalmente al mondo ripescando nelle sue acque più profonde le «corse a perdifiato/e dispute improvvise, il pugno/che partiva di scatto.». La lontananza si fa specchio dell’anima che accoglie antiche figure, immagini luminose appena sfiorate, pronte a rinverdire le zolle insondabili del tempo che scorre, così a lungo coltivate nel cuore finché resterà qualche cosa di più di un ricordo. Torna lo stato d’animo e l’invisibile della vita in mezzo al silenzio e alle voci, la commozione, che non si lascia ingannare da incrinature decadenti ma è tenera, potente conquista di gratitudine. Ogni cosa nascosta o remota si fa prima del soffrire e del gioire, prima della vita nel suo andare. Si fa figlia senza un disegno apparente e chissà da dove o per quale altra via cercherà l’io e darà vita ad altre infinite adolescenze, a sensibili ferite, mai presagite da una condizione di malinconia ma riferite attraverso la verità della parola che fa dono di sé. E cosa può essere donata se non l’amicizia col mondo, l’essere vicini nel luogo più maturo della vita in cui rinasce la scintilla di comunione e di piacevole contatto col vivere lontano che non si spegne facilmente perché ogni volto possa richiamare intorno a sé l’altro in un reciproco contatto di memoria, perché chi ci veda possa riconoscerci.
I sensi tornano accordati sullo stesso tono e una sinfonia suona di una particolare fortuna che ristabilisce il rapporto tra adolescenza e notte. Si riaccende una vita fragile e radiosa senza fretta, continua come dialogo infinito col tempo interiore e con quello che non si infrange nelle intermittenze della clessidra o in quelle del cuore: «Già allora questa fretta/che uccide come una pietra/schiacciata sul petto. I sogni/non si spezzano, non possono/spaccarsi così, in una stretta/improvvisa che lascia fuori/gli occhi.» Il silenzio torna a vibrare e la parola scende nei cortili a cercare vicinanze e impreviste lontananze: «Cadono i birilli prima del tempo/dentro i miei occhi. Ragazzi/scommettono sui minuti/nella brace di una sigaretta./Ragazzi destinati alla divisione./Ragazzi che tra poco/non sapranno più riconoscersi.». Cosa dunque può andare più lontano di quei giorni se non la sicurezza di risentirli in tasca, di ritrovarli intatti nella memoria con la gioia potente di rivivere la speranza di un avvenire lontano, più ampio. E torna la certezza di una prima innocenza, l’arcobaleno si ricompone dietro ogni onda e ogni onda inghiotte ogni volta la temerarietà del vento.
La prima innocenza torna a vivere non con la fragilità della speranza o con gli echi che predispongono l’avvenire ma con gli occhi che vedono più felici di noi i ricordi e l’aria che li spinge sempre più in alto ci rassicura e si fa quiete il cuore, la mente ci consente di vedere la luce con quella stessa grazia con cui si sente il mistero. Questo andare naturale del poeta verso la memoria è un atto di gioia che indica il senso di infinito, quella leggerezza autorevole che si fa grazia nel mentre cerca di intravvedere la luce anche nel buio più buio dell’anima o nelle ombre che facilmente spengono il sorriso. Luigi Fontanella cerca le orme della gioia nella sua stremata e splendente fragilità. Nell’attimo della vita in cui l’ego non è gelidamente distratto e la gioia è al presente poiché è fragile la speranza quando si vive in funzione del futuro e quieta la portata della memoria quando si torna alla sorgente e si misura la purezza dell’animo. Quel che resta delle passioni, delle scoperte e delle sensibilità dei tanti splendenti e doloranti stati emotivi è il quotidiano fiaccarle e arrestarle di fronte all’assetto razionale della vita. Non ha senso chiedersi perché il tempo cambia il modo di vivere e di sentire, ha senso sentirsi sveglio per una vita giocata all’interno, per un «tiro secco in porta» su ogni esistenza, per una partita tra vita e morte che non ha fine.
Cambia il corpo e la riflessione piange più acuta: «… Penso a un bambino appena nato alla vita/che già piange la sua non esistenza./Come faremo, noi genitori, a farci/perdonare per avergliela data?». Il tempo con la sua circolarità senza fine resta immobile e dà senso alle paure, alla speranza e all’attesa che fa dell’adolescente il desiderio primo del proprio bene. E qui, in questa adolescenza, lo stare con gli altri è più la gioia della memoria e della riflessione che non il muoversi in verticale e la pienezza non appare estranea alla vita. Il ripercorrere le tracce emozionali sui volti e i gesti, l’atto e il vivere come «Notte lunga e impietosa. porta/là dove si rivela il passaggio fra amore/e disamore, ingenuità e scaltrezza …/con la coscienza della sua finzione.». Ma nel suo volo libero la farfalla arriva alla notte con «Una sapienza infinita.». La vera via passa orizzontalmente al mondo e noi spesso inciampiamo, poi cadiamo nel sogno: «In questo vagone, immobili nel tempo,/ora appaiono tutti quelli che ho amato.» . Senza infingimenti la vita torna a dare l’origine di sé. Mi è sembrato di vibrare col suono di ciò che è invisibile e fertile alla vita stessa quando l’autore esce dall’io e si muove una pace interiore che ricrea ogni cosa. Allora la verità del poeta non resta congelata fuori dalla sorgente: «Ma adesso è già tardi. Tutto/si attutisce, e tu frughi/negli anfratti delle pause/quando si pretende d’essere vivi/e ogni gesto può essere ultimo/e primo.» Questo libro è il perdersi nel mentre si riceve il vero che è stato e si dona come gioia al presente.