di Davide D’Alessandro
Se “Cosa può un corpo?” è il titolo di un libro di Deleuze su Spinoza, “Cosa può uno scrittore?” è la domanda da porsi mentre esce “Sottomissione”, l’ultima attesissima opera di Michel Houellebecq. E se un libro non ci sveglia come un pugno sul cranio, per dirla con Kafka, a che serve leggerlo? Nessuno può arrivare dove arriva lo scrittore, se ha intelligenza, spirito, visione. Non è importante se nel 2022 la profezia di un Presidente musulmano della Repubblica francese, eletto da gollisti e sinistri per battere la Le Pen, si avvererà o no. Conta una riflessione ineludibile su un domani che è già oggi per chi, come Houellebecq, ha saputo guardare i nostri giorni, così disperati e così vuoti, ha saputo meditare, senza giudicare, sulla decadenza, su ciò che decade per debolezza, per insipienza, per rinuncia, per mancanza, per paura, ma anche su ciò che finisce perché tutto finisce, presunto dominio occidentale compreso. Chi ha venduto vestiti per anni e parcheggiato il furgone tutte le settimane davanti al Tempio di via Portico d’Ottavia, nella città eterna, conosce l’ansia, il sospetto, il volto di chi è definito ebreo e non s’arrende, pur essendo perseguitato da sempre. Ha ragione il rabbino capo Giuseppe Laras: “A una certa politica miope gli ebrei piacciono solo in quanto morti da ricordare e non come soggetti con cui confrontarsi”. Il mondo ha concesso più spazio, più parole, più lacrime per il massacro all’interno del giornale e, giustamente, siamo tutti “Charlie”, ma dentro il supermercato si è ripetuto qualcosa che mai ci abbandona. La persecuzione di chi non vuole sottomettersi. Perché sottomettersi, anche solo con il pensiero, vuol dire perdere e morire, ancor prima di tentare di vivere.