C’è stato un tempo in cui i best seller erano opere di Calvino, Elsa Morante, Cesare Pavese e altri, c’è stato un tempo in cui gli editor erano Vittorini e Sereni. Certo, anche questi editor commettevano i loro errori, basti pensare al rifiuto del Gattopardo. Tutto però avveniva in un quadro di attenzione e di rigore, lo sbaglio era dentro un calcolo delle probabilità ineliminabile. Anche il critico e l’editor più intelligente ha un setaccio in cui passano solo certi grani, magari numerosi, mai però tutti.
Oggi la situazione è completamente diversa: il genere domina incontrastato. Entrando in una libreria noi vediamo subito le cataste di best seller prevalentemente d’oltre oceano e tanti altri comparti dominati da un “tema”. Ecco l’horror, il thriller, il fantasy: i templari impazzano ovunque, le varie fini del mondo annunciate nelle più diverse copertine e magari evitate attraverso l’intervento dell’eroe di turno. E poi tanto Medioevo e tanto futuro mescolati assieme. La new age che impazza, i commissari che si moltiplicano. Senza dimenticare il sesso, soprattutto se raccontato al femminile: dai colpi di spazzola ai colori di varia tonalità, un sesso facile e consumistico, meglio se attraversato da una qualche perversione di tipo sadomaso, impazza presso il pubblico, anche e magari ancor più femminile.
Altro elemento di fondo l’intervento degli scrittori giornalisti, in particolare dei mezzi busti televisivi. Se Floris scrive un romanzo sarà invitato in tutte le trasmissioni possibili e immaginabili, senza distinzioni tra Rai, Mediaset, La7 eccetera. C’è un così evidente e sproporzionato interesse di categoria che non riesce più nemmeno a scandalizzare tanto è diventato abitudine e costume di questo paese. Persino nei programmi veloci come Billy dominano incontrastati best seller e testi giornalistici: non ho mai visto una raccolta di poesia in questo programma. Una raccolta invece l’ho vista presentata da Vincenzo Mollica, la più improbabile possibile, frutto sicuro di una conoscenza diretta o di una qualche autorevole raccomandazione. Del resto per Mollica l’80% della cultura italiana si esaurisce nella canzone, al resto provvedono il cinema e i fumetti.
Un discorso a parte merita il giovanilismo straccione che ha ormai invaso l’editoria italiana. Nessuno nega la possibilità per un giovane di esordire anche da un grande editore. Altra cosa è la ricerca di un giovanilismo che non si cura affatto della qualità estetica del testo, ma è alla ricerca di qualcosa che funzioni non solo per il mercato, ma anche per le mode di stagione. Mentre i giovani in tutti i campi sono discriminati e sfruttati, per qualcuno di loro scatta invece un lasciapassare totale e incondizionato. Importante poi è il fatto che nel testo sia raccontata una qualche esperienza à la page magari la più trasgressiva possibile, magari un incesto tra fratelli gemelli monozigoti.
Lasciamo perdere il fenomeno tutto italiano dei calciatori, dei cantanti e dei cuochi che impazzano con i loro libri e magari vengono invitati dall’ineffabile Fazio. Proprio in Che tempo che fa sono venuto a sapere, con profonda invidia, che Cassano ha avuto 700 donne: ma non basta questa notevole performance e nemmeno quelle sul campo da gioco a farne uno scrittore. Persino Buffon, che mi è profondamente simpatico, non ha resistito alla tentazione di scrivere o di farsi scrivere un libro.
La poesia sembrava al riparo da tutti questi mali, ma un giovanilismo spesso improprio e raffazzonato domina in grandi editori come l’Einaudi e la Mondadori accompagnato spesso da un occhio molto amicale secondo la migliore tradizione italica. Anche in questo caso gli editor non sono più quelli di un tempo: vedremo quante delle loro scelte resisteranno negli anni.
La letteratura trova conforto nella sua perseveranza al di là del successo d’immagine. Un gruppo di studenti dell’Università di Urbino, alcuni dei quali miei studenti, stanno pubblicando una rivista dal titolo La resistenza della poesia. È necessario resistere contro l’andazzo dei tempi e poi, in una maniera più drammatica e totale, contro il destino di finitudine e di fatica che attende gli umani.
Umberto Piersanti
Sti.mo Umberto Piersanti,mi chiamo Angelo Gallo e ci siamo conosciuti lo scorso anno in occasione di un incontro tenutosi a Roma nella sede della rivista VIVA di Bultrini e Damiani dove Rossella Frolla’ ed altri hanno parlato delle Antologie di poesia.Ho letto con molto interesse questo suo intervento su Pelagos trovandolo purtroppo molto aderente all’attuale realtà culturale: il libro è ridotto ormai ad oggetto di consumo con pochissima o nulla attenzione alla profondità dei contenuti.Speriamo che qualcosa cambi anche se penso che nelle scuole si dovrebbe fare di più in merito.
Mentre scorrevo le sue righe pensavo che ci potesse essere una sintonia con una mia poesia in dialetto romanesco che di seguito allego insieme alla traduzione in italiano( fa parte di un piccolo libro che ho recentemente pubblicato a mie spese ):molti non si rendono conto quanto siano preziosi i libri di poesia a prescindere dalla celebrità dell’autore.La saluto cordialmente.Angelo
Er libbro abbandonato
L’antro giorno drento ‘ na cesta der supermercato
indove se lasseno li libbri che nun serveno più
sotto ‘na pila tra quelli de ‘strologgia e de ricette
me so’ sentito subbito n’attrazzione
da un puscolo dalla copertina azzura
e ciò provato ’na strana emozzione.
L’ho ariccorto un po’ acciaccato:
era ‘n piccolo libbro de poesie.
‘n terza paggina con tanto de firma
n’autrice sconosciuta, ‘na certa Fiorella,
lo dedicava a ‘na coppia de amichi co’ sta frase:
“ A Remo e Laura co’ ‘a speranza
che ne le parole de ste poesie
ce possa sempre sta’ un messaggio d’amore”.
Forse la coppia era già scoppiata
o forse la poesia da loro nun è cosa apprezzata
fatto sta che pijannolo in mano
m’è’ parso de acchiappà
‘na bottija portata dar mare
ariempita de messaggi che arriveno da ‘n monno lontano.
Quasi commosso l’ho letto tutto assieme:
c’ereno versi importanti de la su’ esistenza
sur regazzo da lei amato che poi s’è dato,
sur ber sorriso della sua fijola,
sur dispiacere della mamma morta,
sur vento,li fiori e sur mare,
su la fine,su la vita
su scene de Roma nostra sparita
e sull’enorme suo bisogno d’amore.
Sinceramente nun me la so’ sentita
de riportallo addietro e lassallo come’no scarto
e mo quer libbro co ‘a copertina azzura
sta drento la libbreria de casa mia
fra Alda,Pablo e Sarvatore*
perché pe’ me tutta la poesia
è ar dunque n’ atto d’amore
de chi la scrive verso er su’ lettore.
*Merini,Neruda,Quasimodo
Il libro abbandonato/L’altro giorno dentro una cesta del supermercato/dove si lasciano i libri che non servono più/sotto una catasta tra quelli di astrologia e di cucina/ho sentito subito un’attrazione/da parte un libricino dalla copertina azzurra/ed ho provato per esso una strana emozione./L’ho raccolto un po’ sgualcito:/era un piccolo libro di poesie./In terza pagina con tanto di firma/un’autrice sconosciuta, una certa Fiorella,/lo dedicava ad una coppia di amici con questa frase:/“ A Remo e Laura con la speranza/che nelle parole di queste poesie/ci possa sempre stare un messaggio d’amore”./Forse la coppia si era già separata/o forse la poesia non era da loro apprezzata/sta di fatto che prendendolo in mano/mi è sembrato di raccogliere /una bottiglia restituita dal mare/piena di messaggi provenienti da un mondo lontano./Quasi commosso l’ho letto tutto d’un fiato:/c’erano versi importanti della sua esistenza/sul ragazzo da lei amato che poi l’aveva lasciata,/sul bel sorriso della sua bambina,/sul dispiacere per la morte della madre,/sul vento,i fiori e sul mare,/sulla fine,sulla vita,/su scene di Roma nostra d’un tempo andato/e sull’enorme suo bisogno d’amore./Sinceramente non me la sono sentita/di riportarlo indietro e lasciarlo come uno scarto/ed ora quel libro con la copertina azzurra/sta dentro la libreria di casa mia /fra quelli di Alda, Paolo e Salvatore/poiché per me tutta la poesia /è in definitiva un atto d’amore /di chi la scrive verso il suo lettore./
Prefazione
C’è una predisposizione a vivere in compagnia di se stessi, a stabilire un dialogo silente che risale armonioso dal pensiero, pieno di voci e di suoni fino all’assenza rivoluzionaria e poetica dell’io che fa spazio al mondo. La bellezza di questo libro è nella sua onestà guidata da una parola che è semplicità e bontà di ciò che esiste anche di amaro e che rivela il dono di un disincanto ironico e quieto. Anche per il nostro autore come per i grandi poeti (Belli, Trilussa, Dell’Arco) la lingua dialettale ,il romanesco, sembra essere la sola capace di contenere tutta la pienezza dei luoghi e delle voci del popolo tra le “lucciche” e il “loro gajardo volo”, quando la notte “le fontane cominceno a parlà tra loro”, quando la libertà di ogni nostra volontà sul mondo resta un insondabile fondo, un abisso a più profondità. Da un vocabolario prolifico ,mai troppo sbottonato e fedele alla lingua della città eterna, emergono figure umane e cose entrambe unite nello sperimentare l’humanitas durevole del passato e la stabilità del mondo. Ogni gesto che riferisce da sé le contraddizioni interne del volere, del bene e del male sembra uscire libero dal giudizio e con la capacità di ricrearsi per acquistare nuove vitalità e quello spirito che affina ciascuno e cambia la vita:” Alle prime luci der giorno/accominci l’opera sur marciapiede/e trasformi co’ gessetti colorati/l’asfarto sporco ed impuzzonito/dar piombo de le machine/ne lo sfondo de ‘n artare” (Er madonnaro). Le dù fontane. L’omo der fiume, Er libbro abbandonato, Er madonnaro sono uomini e cose che si stringono e si appartengono nel soffio chiaro e potente della poesia : “e poi soffiacce forte/speranno che lontano posseno volà”. La parola trattiene fedele una certa spontaneità popolare misurata a onore di quella tradizione etica e valoriale piccolo-borghese che ha fatto l’Italia del dopoguerra : “M’hanno sempre detto che l’angeli der Signore/stanno ‘nvisibbili dietro de noi/ e ce consijano cosa fa e cosa evità/ proteggennoce dar diavoletto tentatore/ ma ariflettenno me so’ accorto solo stanno/ che tra de noi ce so’ angeli ‘n carne ed ossa”. Entrano con discrezione in questa poesia come “ ‘a luce der lampione soffusa” “la povertà, la dignità, la fraternità” della Roma d’oggi che Angelo Gallo riferisce e vive con fare domestico e civile. scortato dagli affetti familiari e dai valori di sempre che si incontrano ancora e che ci hanno dato una mano grande a risalire il Novecento. La parola raccoglie la vita quando sembra sostare a lungo nel tempo e va a passo d’uomo verso un nitido racconto e un impegno umano e sociale che incontra qualcosa di più grande e di più stabile del piccolo io. L’occhio si fa partecipe della verità e vuole aderire al reale con sonorità pulite seguendo uno stile lineare e aperto a guadagnare ogni cosa, sensibile ed esplicito come il candore ad ogni avversità:”Scaje de ruzza se staccheno/’n po’ a la vorta/ a ogni viaggio de ste barche/e vanno a finì ar mare/come li corpi e l’annime/de ‘sti poracci de migranti”(‘E barche de li clandestini).Corpi e anime sono il farsi del mondo.
Rossella Frollà
Titolo: Semo signori senza quattrini
Autore: Angelo Gallo
Categoria di appartenenza: Poesia
Edizioni Youcanprint
ISBN 978-88-91131-51-5
Carissimo Umberto,
mi trovi totalmente d’accordo con questo tuo importante editoriale. Che, sebbene condotto con penna felicemente leggera, non manca di fare il punto sulla piccola grande tragedia di livellamento al basso che ha travolto le nostre patrie lettere. Vorrei aggiungere – alla tua puntualissima disamina – la furbizia di certi giovani in carriera: perché, se da un lato vige il lassismo menefreghista (o la premura chioccesca) dei padri diventati nonni, dall’altro molti pargoli – tutt’altro che ingenui – sanno bene dove stanare la lepre del potere editoriale o (se a quella non arrivano) del potere politico: io, per parte mia, felicemente appartenente alla generazione saltata (ma molto più solida di quanto si voglia far credere); un po’ stanco, in verità, di questo rampantismo fastidioso e sciatto (se almeno fosse di qualità non proferirei verbo!); io voglio tornare a parlare di estetica e di bellezza, di stile e di lingua, di qualità. I deliri generazionali, come abbiamo dovuto registrare, finiscono solo per dare cittadinanza alla cattiva poesia: basta con le antologie tematiche (dedicate alle generazioni, alle mamme, ai babbi, ai cornuti, al mare, a questo mondo e a quell’altro); basta coi generi (noir in testa). Ma basta non solamente a quelli che li promuovono: soprattutto basta a quelli che ci marciano. E sono tanti. E sono troppi. E sono tutto meno che puri.
Un abbraccio.