Lo stupore
di Rossella Frollà
Non possiamo non tener conto del nostro volto rimpicciolito, tornato bambino in un fascio di odori, il profumo eterno di velluto che ci sollecita a brillare di risonanze e di paure fatte in profondità e amate, risalite con lo stupore dell’aria chiara quando risale i meli rosa tra i declivi. L’abbandono involontario a ciò che non conosciamo, a quel tanto che ci sorprende e ci fa vibrare di entusiasmo e di commozione, ci dà pieno sapore e scarso respiro, l’ambivalenza del sentire, quell’abbandono immediato e inatteso è la bellezza che non si arresta, la libertà dell’anima che prende in prestito la nostra immagine e ci appare. La memoria potente e permanente dell’infanzia sollecita a una profondità archetipica quella qualità originaria che restituisce per prima un’apertura al mondo e che diventa un accordo di toni più o meno invasivi, più o meno leggeri ma sempre sono un invito a spiccare il volo. La foglia come la mandorla nel guscio è curva a riposare nella continuità della vita e la malinconia leggera e fantastica dei bambini passa come l’aria sulle bocche della gente nella continuità dell’essere. Ma qualche volta davvero nasce una rivolta di emozioni e la meraviglia s’invola, non si scorda più quel giorno né il gusto di vedere. Molto altro ci verrà mostrato dalla vita, il mondo sembrerà non avere più sorprese ma quell’abitazione antica del correre nell’ignoto ci riserverà qualcosa di più della somma dei nostri ricordi, un bagliore che non sa della propria origine e ha un significato fenomenologico puro nell’istante in cui rianima i sensi. Ci si sente unici a osservare il mondo, ad accogliere o meno le cose in un mostrato talmente immediato che ci ricolloca all’origine. La prima esclamazione la ricordiamo per tutta la vita attraverso il brumoso respiro dell’aria o tramite la fronte pensosa di un bimbo. Non sappiamo quale altra meraviglia verrà elaborata dal nostro sistema limbico con un responso fulmineo di emozioni che saranno la persuasiva dichiarazione della bellezza luminosa e leggera, dolorosa e caduca. Rapiti gli occhi, la materia, la memoria morta, la parola accorata nella necessità di migrare su altre bocche, null’altro aspettano se non la misura di un chiaro dentro l’aria.
Trafitta si alza dentro altre poche cose certe che sono pezzi taglienti appesi all’odore del freddo o minuscole conchiglie o lamelle di carta salite sui prati per volare sui volti. Dunque l’impatto emozionale con la sorpresa sarà così forte che si dimenticherà più lentamente, sarà un fenomeno di lunga durata, l’appraisal, l’emozione adattiva al mondo. Più il corpo vibra al cospetto col mondo, più la sua già ricca emotività si arricchisce di nuove infanzie e altri dintorni e si affina e si rende prossima la capacità di ascolto. Soprattutto il Silenzio è capace di consegnarci tutto lo stupore della parola, del suo farsi povera nell’esodo all’altro. La povertà si unisce così perfettamente allo stupore che ne diventa amante e reinventa ogni volta una nuova passione, ogni nuda presenza che accoglie. Il carattere del farsi prossimo dello stupore è nella sua povertà come nell’atto della creazione, nel luogo sacro della nascita, la donna. A lei il Cantico dei Cantici, la dimensione fenomenologica della visione e della meraviglia, della metafora che senza fine mille altre volte corre per altri occhi: «quando con li occhi li occhi mi percosse» (Dante, Purgatorio XXXIII, v. 18). Qui la parola cattura l’incandescenza dello stupore che è l’espressione fisica dell’anima nella sua unità, interna scintilla all’orizzonte dell’eterna forza visionaria. La connotazione semantica e fisica di ciò che ci appare nella sua immediatezza quando provoca lo sguardo o l’atteggiamento del volto, l’esclamazione fulminea, ci lascia intravvedere qualcosa di essenziale dinanzi a noi. Nello svuotarsi di tutti gli impedimenti esteriori si fa storia nuova la bellezza che al nostro interno decide di restare per amore. Ella crea l’incontro di una poetica familiare della reminiscenza con una voce nuova in uno spazio più vasto di noi. Improvvisamente ogni luce si fa visibile e un altro evento nel continuum si fa prossimo. Così la parola, quando vola alta sopra il pensiero e si libera di ogni orpello, avanza verso la perfezione di un sentire che si fa ricchezza di continue meraviglie. E ogni Sognatore può riferire con assoluta sincerità e chiarezza le parole segrete delle cose, l’incontenibile vocalità del mondo nel suo vibrare. Nella Recherche proustiana la voce si confronta con le nuove figure del tempo, l’incontro coi vecchi compagni si fa nuovo. Lo stupore si raccoglie in un segno, nella voce familiare di un uomo corpulento e grigio che Marcel non conosce, ma quella voce sa per certo di averla già sentita. È così che anche Dante riconosce Forese Donati: «ma nella voce sua mi fu palese». Ciò che dunque ci meraviglia e ci stupisce è la finestra sul mondo che l’anima lascia aperta. Ciò cui l’uomo va incontro negli sciami di immagini e di sensazioni fatte tutte d’un fiato, di colpo, è la sua capacità e volontà di consentire all’esistenza di storicizzarsi senza perdere di vista le ragioni dell’interiorità: il tempo interiore. Lo stupore non può non essere che necessariamente il contenuto e il crocevia dell’essere e dell’esistere. Quel qualcosa che ci fa brillare e ci rende bella la vita.