Mareggiare
di un mare familiare
ribollente
livori
fremente
di sotterranei furori
Sugli scogli
reliquie di foglie
da che autunni
a quali primavere
pervenute
fuori tempo e magione
come
nei cassetti
polvere di cenere
ai cambi di stagione
Rami incagliati
in bianche nuvolaglie
invadenti cieli nudi
a nuovo nati
su un mare in difesa
sovrastanti
che arretra
sfiancato
non in quiete
meditante nuovi agguati
da un fondo residuale
d’altro male
Un gabbiano fuori stormo
volteggia in vani ghirigori
rasente la scogliera
a fiutare dal pattume
esalazioni di terra.
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Betulle
Grovigli di radici espiante
di foglie in fiamme
di lavici sassi
di crateri riarsi
Verde nascente
che abbaglia
chi incauto s’addentra
in suo fulgido regno
come ascia s’abbatte
su quel che dietro
tutto si lascia
Membra distese
in femmineo abbandono
come in un dono
corpi protesi agli abbracci
braccia disciolte da languidi lacci
tronchi riversi
come dopo l’amore
che triste stanchezza
succede a vigore
E sole
sole all’andata
sole al ritorno
sole sul viso
sole sul collo
e niente che duri
e che maturi
Tutto mutato in un volger di passi
e di tempo
Stesso stupore
medesimo turbamento.
Anna Vasta
Quanta energia, quanto movimento in questi versi pieni di vita. Grazie Anna, bellissimi!
La poesia della tristezza e dell’amara consapevolezza, che padroneggia un linguaggio efficace e profondo nella sua essenzialità.Complimenti!
Versi che evocano immagini di una forza straordinaria. Belle emozioni, grazie Anna.
Anna Vasta mi ha insegnato molto di poesia…e di altro. La porto dentro sempre – lei non mi crede – anche se ancora una volta sono riuscito idiotamente a devastare un miracolo!
Ho ripreso, ultimamente, a studiare per amore i Dori, padri di Anna! Aka Morchiladze ( Racconto “Tre di vite”) parla di una vecchia colonna dorica e di una donna che seduta davanti al mare sotto la colonna, cantava un canto così triste che fu chiamato “crucciata”. Ho pensato immediatamente alla poesia di Anna Vasta…ma poi mi sono corretto, dentro: quella poesia non è triste, è arcana…e a pensare che lei mi ha insegnato che il poeta è “consapevole”! Le credo a metà, come sempre è doveroso fare con i poeti!
<>, <>: scendo con Anna – solo lei può tenermi la mano – nell’Ade per ascoltare gli ultimi segreti che l’ombra di Achille vorrà regalarci!
Così chiude il suo racconto Morchiladze:
<>.
RIPORTO QUELLO CHE AVEVO VIRGOLETTATO E CHE LA PAGINA NON HA PRESO.
,
“”…un mare familiare ribollente livori fremente di sotterranei furori.”” , “”…un fondo residuale d’altro male…””
“”In quei tempi le canzoni venivano cantate al tramonto. Sulla riva del mare si accendevano i falò e le donne solitarie cantavano avvicendandosi fino all’alba. Vicino ai falò c’erano le ciotole di rame, dove l’ascoltatore metteva un suo dono. Nessuno ne misurava la quantità, essa dipendeva dal sentimento provato.
Gli ascoltatori quasi non potevano vedere le donne, gli stranieri se ne innamoravano.””
Cara Anna sei unica.
Quanta verità in questi versi.
Versi che descrivono un semplice quadro d’insieme, visibile solo a chi non sa scoinvolgersi e a chi non riesce o non sa vedere oltre.
Mentre io vedo, vivo e sento turbolenze infinite, stravolgimenti giovanili, vita appieno vissuta. Tutto il furore giovanile che volge alla consapevolezza di vita stravolta dalla normalità e dalla quotidianità.
Siamo noi come eravamo e come ora siamo.
Un quadro vivo e vivido che lascia senza fiato.
Un mare in tempesta, un uragano, un correre a perdifiato.
Grazie!