Pubblicato su Romagna del Lunedì, il 25 giugno 2012.
Con il romanzo “Cupo tempo gentile” Umberto Piersanti racconta gli anni della contestazione con lo sguardo limpido di chi li ha vissuti facendosi delle domande.
Sul sessantotto si è scritto molto eppure forse non si è scritto abbastanza, nel senso che il tempo forse oggi è maturo per guardare a quegli anni senza la lente deformante delle ideologie. E’ uscito da poco il nuovo atteso romanzo di Umberto Piersanti “Cupo tempo gentile” (Marcos y Marcos, 2012), in cui lo scrittore urbinate attraversa proprio gli anni della contestazione con un punto di vista che certo farà riflettere. Abbiamo rivolto all’autore qualche domanda.
Qual è il ‘68 che lei racconta, né da apologeta né da pentito?
Tra il ’67 e il ’69 si svolge un periodo cruciale della nostra storia. La contestazione invade non solo l’Italia, ma l’Europa, l’America, i paesi dell’Est. Si tratta di movimenti i più diversi e i più variegati che vanno dal più cupo marxismo leninismo al libertarismo assoluto e confuso dei situazionisti. C’è un’autentica ansia di rinnovamento che può prendere le strade più difformi e, talora, più assurde, ma si parte sempre da esigenze reali e sentite. I modelli di riferimento sono però degli assurdi per il mondo occidentale: in primis la Cina di Mao e della rivoluzione culturale e poi la Cuba di Castro e, soprattutto del Che, il Vietnam di Ho Chi Minh impegnato in una durissima lotta contro la presenza americana nel sud est asiatico.
Il ’68 alleva in sé due pulsioni differenti e contraddittorie anche se non avvertite in quanto tali: un’esigenza di libertà nella scuola, nello studio, nei costumi sessuali, nel rapporto tra le classi, i ceti e gli individui: per la prima volta le donne entrano in maniera consistente nel “fare” politico, prendono la parola in assemblea, vivono insomma alla pari con i loro coetanei maschi questa volontà di presenza e di lotta. Fin ad allora in caso di adulterio le donne, e solo loro, finivano in carcere come era successo alla dama bianca nella sua storia d’amore con il grande Coppi. E per moltissimi italiani, non solo meridionali, la verginità era una condicio sine qua non per sposare una ragazza.
Il ’68 mette tutto in crisi, si spinge talora a forme anche folkloriche e ridicole di libertarismo, ma rappresenta sempre e comunque questo ineludibile bisogno di cambiamento e di rinnovamento. Dall’altra parte però il rifarsi a modelli “dittatoriali” avvia ad un processo di cecità ideologica alla quale contribuiscono moltissimo i media e, soprattutto, gli scrittori e gli intellettuali del tempo. Sarebbe “divertente” fare una statistica per vedere chi tra gli intellettuali italiani è sfuggito al fascino della rivoluzione culturale cinese. Si distinsero tra gli innumerevoli altri Dario Fo e la Maciocchi: sono due nomi che mi vengono in mente ma totalmente insufficienti per raccontare la sbornia degli intellettuali italiani per la Cina e la rivoluzione culturale. Un giornale importante come Il Manifesto nacque in polemica con l’ortodossia del PCI e avendo come punto di riferimento non tanto la Cecoslovacchia di Dubceck quanto la Cina della Rivoluzione culturale. Ed oggi sappiamo che questo fenomeno comportò milioni di morti tra quelli ammazzati e quelli provocati dalle carestie derivate da assurde politiche economiche.
Ecco, il mio romanzo racconta tutto questo attraverso lo sguardo del protagonista, Andrea che ha qualche anno in più dei suoi compagni e qualche dubbio in più che gli gira nel cervello. Inoltre Andrea scribacchia versi e racconti e la natura, i fiori e gli amori diventano spesso più importanti del Movimento e delle lotte.
Con L’estate dell’altro millennio, un altro romanzo storico di grande successo, ha raccontato gli anni della guerra, ora sceglie un tempo a noi più vicino. Perché proprio questi due momenti della storia italiana?
La guerra ha rappresentato il passaggio all’altro millennio. Siamo entrati in guerra con i biplani e ne siamo usciti con l’atomica. Prima della guerra i buoi e gli aratri in Italia superavano abbondantemente i trattori e, nelle mie campagne, i calessi con il cavallo erano abituali per preti e medici.
Il ’68 ha rappresentato invece il primo momento di dubbio e di svolta dopo gli anni del miracolo economico, che sono stati comunque tra i più felici nella storia del nostro Paese. L’utopia prendeva il posto delle necessità quotidiane, con il suo carico di speranze e con le sue idealità. Queste ultime poi caricate di settarismo e di ideologia nutrivano una violenza che trovava la prima espressione con le spranghe non sempre e non solo usate come difesa per gli attacchi fascisti, ed in seguito nelle pallottole degli anni di piombo. Se al ’68 dobbiamo la scuola di massa, una libertà di gran lunga superiore nei costumi e negli atteggiamenti, la fine di molti pregiudizi, dall’altra parte rappresenta l’incubazione di una violenza che sarebbe sfociata negli anni di piombo. Ma il periodo tra il ’67 e il ’69 che racconto è comunque diverso dagli anni di piombo: è un cupo tempo gentile.
di Isabella Leardini
“LE NOSTRE TERRE”
La contestazione tra la Romagna e le Marche
Un autore affonda spesso la propria scrittura nella sua vita e nelle sue esperienze, dunque anche nei suoi luoghi. Questo non significa essere localistico: locale diceva un grande scrittore fa rima soprattutto in Italia con universale: che sarebbe di Pavese senza le Langhe? di Verga senza quel pezzo di Sicilia? di Saba senza Trieste? E l’elenco potrebbe continuare. Il’68 che racconto è soprattutto ambientato nelle terre tra Marche e Romagna, ma c’è anche Milano che rappresenta la scena del primo morto di quegli anni che passano da prevalentemente gentili a prevalentemente cupi. Nelle nostre zone le violenze e gli eccessi sono stati minori, ma non inesistenti. Il romanzo racconta anche un episodio vero, l’incendio dell’istituto di Filologia appiccato perché lì dentro si erano asserragliati dei giovani fascisti. Ma il romanzo racconta anche le camminate e le feste su per le Cesane, i balli a Riccione, il mare ancora intatto del San Bartolo e non dimentica che quegli anni non hanno visto solo la contestazione.
di Umberto Piresanti
Grande equilibrio e saggezza nel ricostruire tormentate vicende storiche. E soprattutto grande sensibilità di poeta e di narratore. Solo Umberto-Andrea, scardinando d’un colpo ogni dogmatismo ideologico con la leggerezza e la libertà dell’intelligenza poetante, avrebbe potuto scrivere “la natura, i fiori e gli amori diventano spesso più importanti del Movimento e delle lotte”!!!