Di noi, maliose sirene, dalle chiome serpentine, incantatrici degli abissi marini, si è fatto da sempre un gran parlare. Artisti, poeti, filosofi e sapienti- tutta gente sfaccendata-da secoli si sono esercitati- senza venirne a capo- sulla nostra multiforme, ambigua natura, e sui funesti poteri di fascinazione che ci vengono attribuiti.
Chi ci vuole creature dell’acqua, chi figlie dell’aria. Luminosa progenie del Giorno per alcuni, per altri tenebrosi parti della Notte.
Tutti concordi nel dipingerci frigide assassine dalle labbra di miele e il cuore di fiele; custodi alate dei sepolcri, tramite tra la vita e la morte.
Fantasie!!! Invenzioni di poeti esaltati, maldicenze messe in giro dalle nostre rivali in seduzione.
La prima a calunniarci è stata Circe, la figlia di Elios, e nostra cugina per ramo paterno. Maga e fattucchiera, veneficatrice di professione, fece in famiglia l’apprendistato e passò brillantemente la prova. Il suo aitante marito fu trovato morto stecchito nel letto coniugale al primo sorso di un elisir di lunga vita che l’amorevole sposa, sollecita, gli aveva approntato.
Con Odisseo, il supereroe dei mari, pupillo di Atena, di fama bello e di sfiga, le sue venefiche arti fecero flop. L’olimpica Dea aveva provveduto in tempo, tramite Ermes, a rifornire il suo Favorito dello specifico antidoto. I compagni- che strazio!- mutati in porci, solo lui, lo Sfigato, prodigiosamente scampato ai filtri maligni.
Ci cascò come una pivella la malefica seduttrice. Lei, rotta a ogni inganno e malefizio, si lasciò raggirare dall’astutissima dea. Come competere- in fondo Circe era una mezza dea- con siffatta divinità, la figlia prediletta di Zeus Olimpo, partorita dal suo testone.
Credendo di avere a che fare con un Nume immortale, cadde ai piedi dell’eroe l’Ingenua, gli abbracciò le stanche ginocchia e con lui si giacque nel vedovile talamo.
L’incantevole Maga, che dal padre Elios aveva avuto in sorte la giovinezza eterna, si stancò presto di quel greco avventuriero- per quanto ben conservato, non era certo di primo pelo-,per ciò non le parve vero di rimetterlo in mare coi compagni- restituiti, bontà sua, alle umane fattezze- quando dalle Superne Sedi arrivò per Odisseo l’ingiunzione di sfratto. Lo attendevano altre eroiche gesta, nuovi ardimentosi traguardi.
La Perfida, invidiosa delle nostre grazie e delle mirabili doti canore che ricevemmo in dono dalla madre nostra, la divina Melpomene, mise in guardia Ulisse dagli agguati delle Sirene, cianciando di marinai irretiti e tramortiti dal nostro canto, sfracellatisi sugli scogli, di ossa sparse al vento di cui faremmo nutrimento. Trucida leggenda, genere pulp, molto trend, riportata dal cieco vate nel suo poema, e ispiratagli dalle Muse, nostre zie in quanto figlie della grande-mére Mnemosine, dirette concorrenti delle Sirene nell’esercizio del canto e nella pratica di sapienza e conoscenza.
Sfidammo le Pimplèe in una gara di canto; battute immeritatamente – a noi, non a loro appartiene l’armonia che “vince di mille secoli il silenzio”- fummo punite per la tracotanza
Ci tarparono le ali, con cui ci libravamo nell’aere aperto libere come garruli gabbiani volteggianti sulle distese marine.
Ma pure da qui, da queste rupi cui siamo incatenate, si sprigiona la nostra melodia e rapida vola per i cieli a trafiggere i cuori dei mortali del sapore acre del vero.
Non v’è mente umana che possa accoglierlo senza naufragare.
Solo i poeti hanno orecchio così robusto da reggere codesta musica celeste che gli animi consuma come peste.
A Orfeo soltanto, il musico divino, fu dato, dei mortali, di vincere col suo il nostro canto. Solo alla poesia cediamo il campo.
Anna Vasta
Anna Vasta, nata a Catania, vive a Riposto (CT), docente di materie letterarie, collabora con recensioni critiche alla Pagina culturale del quotidiano La Sicilia. Letteratitudine. Pelagos. Ha pubblicato: Confutazione delle religioni, De Martinis & C., Catania, 1993 con prefazione di Manlio Sgalambro. Traduzione dei dialoghi L-LX del De admirandis Naturae di Giulio Cesare Vanini; La Curva del cielo (Poesie), Amadeus Editore, Soligo, 1999; I Malnati (Poesie), I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme, 2004( finalista con menzione d’onore al Premio Brancati Zafferana 2005); Quaresimale (Poesie) Prova d’Autore, Catania 2006 (presentato alla V edizione del Festival nazionale di poesia-Riccione-2007); Sposa del vento (Poesie), Prova d’Autore 2008, Catania (finalista al Premio nazionale Le Alpi Apuane – Edizione 2008. Segnalazione speciale al Premio Città di Leonforte, Edizione 2008. Di un Fantasma e di mari (Poesie) Prova d’Autore 2011.